Le Storie della Bibbia

LE STORIE DELLA BIBBIA

sabato 14 dicembre 2013

L'talia che manifesta

 
Oggi a Roma c'è stata una manifestazione di protesta dei tre sindacati confederali, guidata dai loro segretari nazionali, davanti a Palazzo Chigi. La manifestazione serviva a protestare contro la legge di Stabilità che non ha accolto le loro proposte. Vale a dire: meno tasse per i lavoratori e per i pensionati. Una ricetta semplice e di sicuro gradimento. Così si sono lamentati di non essere stati ricevuti da nessun ministro  del governo.  Soprattutto se la prendono con il ministro Saccomanni, a detta loro, il peggiore di tutti. Il ministro del tesoro è quello che tiene i cordoni della borsa, la quale purtroppo è vuota. Nella stessa giornata, come nei giorni scorsi è continuata anche la protesta dei forconi, anch'essi si lamentano per le tasse. Così che, con  tutto il disordine e tutto il disagio provocato dalle manifestazioni dei forconi in tutta Italia, i quali hanno occupato le piazze d'Italia con numerose e talvolta violente adesioni di persone di ogni tipo e di ogni risma, (resta ferma la mia convinzione che questo movimento è politicamente di destra, eversivo e con attive frange fasciste) la misera protesta dei sindacati nella piazza davanti a palazzo Chigi, è sembrata essere un segno della scarsa considerazione che essi godono, sia presso il governo e soprattutto presso i lavoratori stessi.
I tre leader: Camusso, Bonanni e Angeletti, avranno sicuramente esposto le loro critiche e le loro ricette economiche, se non risolutive, certamente degne di attenzione, tuttavia se ne sono guardati  bene dal fare qualche esame di coscienza, dal fare qualche autocritica sui loro comportamenti negli anni appena trascorsi. Sembra che non si rendano conto di non rappresentare più la totalità dei lavoratori. Stando a quel poco che si conosce dei loro iscritti, se si escludono i pensionati, che sono più della metà in ciascuno dei tre sindacati, e se si escludono  i pubblici dipendenti, i quali hanno comunque sempre il posto garantito, il resto dei lavoratori iscritti saranno forse tre o quattro milioni. Insomma tutti gli altri: i non sindacalizzati, gli autonomi, i precari, i lavoratori in nero ecc. che sono la grande maggioranza di quel che ancora c'è del mondo del lavoro, sono altrove. Inoltre non pare nemmeno che i tre siano sfiorati dal sospetto che anche nel sindacato, sia ai vertici che nei ranghi della sua inossidabile burocrazia, ci sia bisogno di qualche rinnovamento e di aria nuova, soprattutto di un profondo ripensamento anche culturale e politico del ruolo del sindacato nella società italiana di oggi.
Lo statuto dei lavoratori votato dal Parlamento  nel 1970, alla fine di una lunga stagione di lotte, ha rappresentato un punto di maturazione e di conquiste sindacali sicuramente  di grande portata. Le condizioni politiche e sindacali che hanno consentito quel successo, oggi non ci sono più. Allora il lavoro dipendente era la quasi totalità del mondo del lavoro. Le lotte dei lavoratori trainate dalle tre organizzazioni erano supportate anche politicamente in Parlamento, sia dall'opposizione rappresentata dal PCI, che dai partiti di governo, la DC e il PSI. Infatti lo Statuto porta la firma di un ministro socialista. Da allora tuttavia la società italiana, il mondo del lavoro in particolare, si è enormemente trasformata. Oggi la rappresentanza sindacale e la rappresentanza politica si  è frantumata in molte organizzazioni, con caratteristiche le più diverse: corporative, geografiche, clientelari, di destra e di sinistra, spontaneiste e qualunquiste, europeiste e antieuropee, i partiti tradizionali sono scomparsi, i nuovi stentano ad imporsi, tanto che gli italiani che non votano sono sempre più numerosi.
Stando così le cose anche le tre confederazioni sindacali non potevano non entrare in crisi. Prima l'affrontano la loro crisi meglio sarà anche per i lavoratori che ancora credono nel sindacato.
 
 


venerdì 13 dicembre 2013

L’impervia strada di Matteo

L'articolo di Ricolfi è apparso oggi su La Stampa on-line, mi sembra una onesta considerazione su Matteo Renzi esui compiti che l'attendono come segretario del PD.

L’impervia strada di Matteo (di Luca Ricolfi - La Stampa)

Che Renzi abbia vinto le primarie del Pd e ne sia diventato il segretario è un fatto positivo. Renzi, infatti, è l’unico leader dal quale è ragionevole aspettarsi due risultati: primo, la fine della stagione immobilista del governo Letta, finora colpevolmente tollerata da Pd e Pdl; secondo, la rinuncia a percorrere scorciatoie anti-istituzionali, che sono invece la perenne tentazione di Berlusconi, Grillo e Lega, ossia di circa metà del Parlamento.

Questo è importante, perché ci toglie dal dilemma di questi otto mesi: meglio tenersi il timido Letta, o rischiare il ritorno alle urne senza una nuova offerta politica? Con Renzi chi vuole un vero cambiamento sa che potrebbe anche ottenerlo, perché il ragazzo è determinato. Ma sa anche che, se il cambiamento non si materializza, si può andare alle urne senza porcellum, e con qualche proposta politica nuova.

 Fin qui tutto bene. Questa è la faccia migliore della luna. C’è anche una seconda faccia, tuttavia, e tanto vale parlarne subito: non è detto che Renzi abbia coraggio a sufficienza. E se Renzi si rivelasse un bluff, la luna della politica potrebbe riservarci il suo lato peggiore. Con effetti catastrofici, temo.

Vediamo perché.

Per capirlo occorre partire da due recentissime prese di posizione pubbliche, due specie di lettere aperte rivolte l’una a Enrico Letta (a firma Giavazzi e Alesina, sul Corriere della Sera), l’altra a Matteo Renzi (a firma Pietro Ichino, dal suo sito). L’elemento comune a questi due interventi è il perentorio, o accorato, invito a uscire dal generico. La richiesta di rispondere su una quindicina di punti fondamentali, su cui non solo il governo ma anche Renzi non hanno preso posizioni chiare o, nel caso di Letta, hanno fatto annunci senza passare dal dire al fare.

Il tratto distintivo dei punti toccati da Alesina, Giavazzi e Ichino, tuttavia, è la loro prosaicità. Pochi voli pindarici sull’obbrobrio del porcellum, sugli scandalosi stipendi dei manager, sulla politica ladra e corrotta, sulla necessità di «dare una speranza», ma una ben più corposa lista di decisioni da assumere sul deficit pubblico, sull’entità dei tagli di spesa, sulle assunzioni nella scuola, sulle imprese pubbliche decotte, sulle privatizzazioni, sul finanziamento pubblico dei partiti, sulla giustizia, sul mercato del lavoro (inclusa l’incandescente disciplina dei licenziamenti). Quasi tutti punti su cui non solo il prudente Letta ma anche lo scanzonato Renzi hanno finora detto ben poco, o per lo meno ben poco di preciso nei modi, nei tempi e nelle cifre.

Il perché della reticenza di Letta è chiaro. Democristianità a parte, è soprattutto l’assenza di un accordo programmatico ben definito (come quello Merkel-socialdemocratici) che lo costringe a prendere «impegni vaghi», un atteggiamento che giustamente Alesina e Giavazzi considerano una colpa, in quanto danneggia il paese. Il perché della reticenza di Renzi lo spiega benissimo Pietro Ichino quando nota (e dimostra) che il Pd «è il più conservatore fra i partiti italiani». Questa circostanza spiega perfettamente la metamorfosi di Renzi: audace e tutto sommato abbastanza chiaro fin che doveva sfidare Bersani (primarie dell’anno scorso), è diventato sempre più guardingo, sfuggente e astuto quando, in questi ultimi mesi, gli si è presentata la possibilità reale di conquistare la cittadella del Pd, l’unico vero apparato di partito rimasto sul terreno di gioco. Renzi sa benissimo che, in qualsiasi sede, incontro, festival o grigliata democratica, Susanna Camusso prende più applausi di Pietro Ichino, e a questo dato di fatto ha deciso di attenersi, mettendo la sordina su tutti i temi, dal mercato del lavoro al rispetto degli elettori di Berlusconi, che lo avevano reso indigeribile al popolo di sinistra. Una strategia comunicativa perseguita con coerenza e lucidità, e ingenuamente confessata da quello che pare essere divenuto il principale consulente di Renzi in materia economico-sociale, Yoram Gutgeld, di cui è appena uscito il libro-manifesto Più uguali, più ricchi (Rizzoli). Nelle pagine iniziali del libro, Gutgeld esalta l’equità e la meritocrazia (che creano sviluppo economico), e critica l’eguaglianza e l’egualitarismo (che frenano lo sviluppo), salvo poi spiegare che non se l’è sentita di intitolare il libro «Più equi, più ricchi», perché la parola «equità» e ancor più l’aggettivo «equo» sono termini «freddi». Meglio il titolo «Più uguali, più ricchi», che alimenta l’equivoco, fa credere l’esatto contrario di quel che si vuol dire, ma almeno scalda i cuori degli elettori di sinistra.

Ha fatto bene Renzi ad adottare una simile strategia di «dissimulazione onesta»?

Chi crede fermamente in lui, giura di sì. L’importante era ed è vincere, e per vincere le prossime elezioni bisognava dare al popolo quel che il popolo chiede: tanta polemica anti-casta, tanta voglia di facce nuove, tanta retorica del ricambio generazionale, il tutto condito con un pizzico di polemica con l’Europa e i suoi vincoli paralizzanti. Un ragionamento che, a quel che sento in giro, coinvolge anche i più riformisti fra i renziani: per fare le cose che Matteo predica, bisogna prima conquistare il Pd e il Governo, e solo poi preoccuparsi dei contenuti più difficili da far accettare all’elettorato di sinistra, e presumibilmente anche al resto del paese.

Questo ordine di pensieri, più o meno spregiudicati e machiavellici, sono certamente congeniali a una parte dell’elettorato di sinistra, e specialmente alla sua parte più anziana, spesso di matrice comunista, da sempre abituata alla doppia verità e convinta che il fine, quando è buono, giustifichi i mezzi, anche quelli cattivi. Ma proprio il fatto che la cultura comunista, le sue abitudini mentali, i suoi riflessi condizionati, siano ancora così radicati nell’elettorato di sinistra, dovrebbe forse suggerire anche un diverso genere di riflessione. Se Renzi, come pensano i suoi detrattori, ambisce solo a sedersi sullo scranno di palazzo Chigi, nessun problema: potrebbe anche farcela. Se però, come molti di noi si augurano, il Davide della politica italiana, dopo aver vinto il gigante Golia dell’apparato di partito, nutrisse anche l’ambizione di provarci, a cambiare questo sciagurato paese, forse farebbe bene a non trascurare un altro tratto della cultura di sinistra, e non solo di essa: il gregarismo, il conformismo, l’attitudine a fiutare l’aria per poi correre tutti nella medesima direzione. Il plebiscito che ha sbalzato Bersani e incoronato Renzi è stato troppo repentino per non evocare altri cambiamenti di umore degli italiani, da fascisti ad antifascisti (nel 1943-45), da clientes dei partiti di governo a giustizialisti duri e puri (nel 1992-94).

La realtà è che Renzi, per ora, non ha affatto cambiato il Pd, come vent’anni fa aveva invece fatto Tony Blair con il Labour Party, attraverso una lunga battaglia a viso aperto. Semmai, è l’elettorato del Pd che ha cambiato Renzi, o lo ha indotto a crittare il suo messaggio originario. Si tratta ora di capire se sarà l’elettorato del Pd a usare Renzi per conquistare quella vittoria che Bersani non è stato capace di regalargli, o sarà Renzi a cominciare, pazientemente, quell’opera di trasformazione delle coscienze che è la premessa di ogni vero cambiamento.

mercoledì 11 dicembre 2013

Il governo Letta è assediato.

Il governo Letta ha ricevuto la fiducia delle Camere, ma la foto dell'Italia di oggi porta l'immagine di un governo assediato, sia dentro il Parlamento che nel Paese. Che altro è infatti il caos che da tre giorni sta paralizzando le grandi città, in particolare Torino, se non un assedio al governo e genericamente ai partiti che lo sostengono. I Forconi e tutto quel miscuglio di manifestanti di ogni classe e di ogni risma che manifestano in nome dell'Italia, stanno mettendo a soqquadro le città senza che si riesca a capire che  cosa vogliano esattamente; sembra che il loro obiettivo sia solo quello di creare disordine e confusione. In termini politici quel che sta avvenendo può essere solo catalogato come un movimento eversivo di destra antidemocratico e di evidenti ascendenze fasciste.
Ed anche i partiti che hanno negato la fiducia a Letta, con il loro linguaggio, le loro volgarità, le minacce, la demagogia esasperata, sono stati oggi una cassa di risonanza  se non addirittura una sorta di complicità con i disordini e le violenze di piazza organizzate dai forconi. Mi riferisco ai vari leghisti, ai berlusconiani, ai grillini, agli ex missini ecc. Tutti costoro oggi nel dibattito alle Camere hanno esibito il peggio di sé in totale sintonia con il peggio della società italiana che manifesta nelle piazze occupando le vie di comunicazione, le stazioni ferroviarie, le sedi istituzionali. Se questa non è eversione che altro nome le dobbiamo dare?  Temo che il cammino del governo non sarà molto tranquillo, sarà bene che Letta si prepari ad affrontare giorni difficili. Anche i partiti che l'appoggiano in particolare il PD del nuovo segretario, dovranno affrontare situazioni forse non previste. Speriamo nelle loro capacità e nella loro intelligenza.

lunedì 9 dicembre 2013

La nuova sinistra

La vittoria di Renzi più grande di quanto ci si aspettasse. Alta affluenza al voto e tanti consensi a lui.
Ho ascoltato con intimo entusiasmo il suo discorso di ieri sera quando è apparso sorridente e veramente gioioso sui teleschermi di Bianca Berlinguer.
Il suo più chiaro messaggio è stato semplice e convinto, è nata la nuova sinistra, non abbiamo cambiato campo - ha detto - vogliamo cambiare un gruppo dirigente che il meglio di sé l'ha già dato.
Aggiungerei qualche modesta considerazione; la sinistra che nasce con Renzi è la sinistra di tutti,  e finisce quella di coloro che per la loro biografia politica si credevano superiori a tutti gli altri.
Nasce la sinistra della generazione che è stata sacrificata dalle vecchie privilegiate generazioni, quella sulle cui spalle pesa maggiormente l'attuale crisi politica ed economica, coloro cioè che stanno pagando per tutti. Sarà questa mia, un'interpretazione sociologica e non politica, eppure il messaggio di Renzi dalle primarie dell'anno scorso ad oggi è stato sempre rivolto alla sua generazione di quarantenni esclusi e sacrificati. La rottamazione aveva questo solo significato: se non ribaltiamo tutto e tutti noi siamo fuori dalla storia. I molti che sono andati a votarlo ieri il messaggio l'hanno capito ed ora si stanno riappropriando di un ruolo e di una politica.
Certo il compito che l'aspetta è molto difficile da affrontare, anche molto complesso, aggravato com'è dalla crisi economica e ancor più da una crisi di cultura politica dentro  una società italiana frammentata e divisa da egoismi corporativi molto consolidati. La vecchia classe dirigente non ha saputo affrontare la situazione, ora tocca alla generazione di Renzi, bisogna augurarsi che abbia le risorse morali e culturali e la genialità politica per una rinascita dell'Italia. Io ho fiducia in loro. Per come conosco i miei figli e i loro amici, che appartengono appunto alla generazione di Renzi, penso che ce la faranno. Dopo tutto è meglio che il loro futuro sia nelle loro mani invece che nelle mani  delle vecchie generazioni che li hanno caricati di debiti e di problemi irrisolti. Buon lavoro a Renzi.
Mi dispiace un po' per il risultato scarsino di Cuperlo. D'altra parte è lui stesso che ha voluto interpretare un ruolo un po' improprio anche per lui, ha voluto rivolgersi alla vecchia sinistra nostalgica del passato, la quale non esiste più,  né nella cultura odierna e nemmeno nell'elettorato; già si era avvertito che le cose stavano così alle primarie dell'anno scorso,  ma, è stato soprattutto alle elezioni politiche di quest'anno, che se n'è avuta la conferma.
Anche la sinistra si evolve! Il partito della sinistra italiana è il nuovo PD di Matteo Renzi.

mercoledì 4 dicembre 2013

Memento

 
Questa notte è morto Sandro Fontana. I giornali di domani sia bresciani che quelli nazionali, sicuramente parleranno di lui e della sua carriera politica che è stata notevole per impegno e importanza. Egli infatti è stato un leader politico democristiano di prim'ordine.
Ma non scriverò di questo, né scriverò delle sue scelte politiche che non condivisi, ma scriverò di quelle scelte che percorremmo insieme quando eravamo entrambi giovani, lui già affermato, io giovane operaio alle prime armi. Confesso che allora fu per me un esempio da seguire e da imitare, per molte ragioni; egli era un giovane molto  brillante, di facile eloquio e genialmente affascinante; i suoi interessi culturali e le sue ricerche storiche sulle classi popolari contadine e operaie erano di grande attualità. Discepolo del professor Passerin D'Entreves, ci fece conoscere, nel sodalizio che anche lui ebbe con Michele Capra e con il gruppo dei sindacalisti dell'OM, l'antifascismo militante di Gobetti, di Salvemini,  dei cattolici democratici organizzatori delle leghe bianche e del sindacalismo cattolico contadino. Aveva allora una grande sensibilità politica e sociale verso le classi sfruttate, specie quelle cattoliche, rimaste estranee al moto risorgimentale, e quindi più di altre bisognose di un riscatto politico, non paternalistico,  che lui perseguiva con gli studi e con l'azione politica nella DC. Si formò con lui e con Michele Capra quel sodalizio politico legato a Donat-Cattin, sindacalista torinese e leader nazionale della corrente DC di Forze Nuove, che avviò alla politica attiva giovani delle classi popolari provenienti dal mondo operaio e contadino. 
Voglio ricordare di Sandro quel sodalizio e quell'amicizia giovanile perché penso  che da parte sua non venne mai meno, anche se la lotta politica all'interno della Dc ci portò su strade diverse e ad un certo punto molto divergenti. Perché quell'amicizia fu parte importante della mia formazione culturale e politica, e che rimane oggi, in questi tempi così sgangherati, una cosa molto bella da ricordare, perché infine, per me,  è questo il Sandro Fontana che ci ha lasciato.
Gli ultimi anni della sua vita furono molto travagliati a causa di una malattia grave e assai penosa, l'ho rivisto alcune rare volte molto sofferente e molto cambiato. Quanta amarezza gli ha riservato la vita. Ai familiari e ai fratelli le mie condoglianze.