Le Storie della Bibbia

LE STORIE DELLA BIBBIA

mercoledì 5 novembre 2014

Un ricordo di Benigno Zaccagnini

Zaccagnini, 25 anni dopo
Ancora riferimento per la politica

5 novembre 2014

A 25 anni dalla sua scomparsa, l'Aula del Senato ha ricordato questa mattina, mercoledì 5 novembre, la figura di Benigno Zaccagnini. A ricordare le qualità politiche e umane dell'esponente Dc sono stati quasi tutti gli esponenti dei gruppi parlamentari.
IL RICORDO di Simone Valiante *
Il 5 novembre ricorrono 25 anni dalla scomparsa dell’onorevole Benigno Zaccagnini. Zaccagnini fu Padre fondatore della nostra repubblica, ministro e segretario della Democrazia Cristiana.

La sua lunga e importante esperienza politica è legata in primo luogo, nell’immaginario collettivo, alla sfida del rilancio della Dc, che fu realizzata grazie al suo profilo serio e integro di cattolico autentico e uomo delle istituzioni sempre all’altezza della situazione.
 

In secondo luogo Zaccagnini fu il segretario chiamato a gestire la drammatica vicenda del sequestro di Aldo Moro, suo amico e leader.

A distanza di anni il giudizio sulla giustezza o meno della linea della fermezza è ancora oggetto di valutazione da parte di storici, politici e opinionisti. Possiamo tuttavia riconoscere che Zaccagnini si trovò di fronte al terribile dilemma di chi sa che, scegliendo, sbaglierà comunque qualcosa.
 

La sua azione politica, innervata da una fede sentita, sincera, vera, si legò al pontificato di Paolo VI che influenzò indiscutibilmente tutta la generazione dei politici democratici cristiani del suo tempo da Aldo Moro a Giulio Andreotti.
 

La sua riconosciuta e apprezzata onestà, il suo carisma, la sua personale inclinazione, favorì una stagione di rinnovamento dei quadri della Dc e un’apertura delle sedi e della politica democristiana ai giovani in anni difficili.

Zaccagnini fu allievo dell’insegnamento moroteo al dialogo, esprimendo al meglio delle sue capacità il tentativo di interpretare un cattolicesimo di apertura, non conservatore e chiuso e mostrò polso e carattere, non soltanto durante la difficile stagione del caso Moro, ma anche rispetto alle pressioni, fortissime, che provenivano da ambienti americani preoccupati del dialogo del partito cattolico col Pci.
 

Nel 1960 Zaccagnini, prima di altri, in un dibattito alla Camera, anticipò la caduta del comunismo, giudicata all’epoca come inevitabile, ma preferisco citare una sua considerazione, espressa quattro gironi prima della caduta del muro di Berlino e che mostra, da sola, la grandezza del personaggio:
«Sarebbe tuttavia illusorio immaginare la pace come il risultato di un accordo Est-Ovest, quasi prefigurandola come esclusivo appannaggio del Nord del mondo. La pace è indivisibile: o coinvolgerà in egual modo il Sud del mondo o non si realizzerà. Su questa sfida, della pace, noi cattolici democratici dobbiamo impegnare gran parte del nostro avvenire politico».

Al figlio, nel periodo tempestoso della contestazione del 1968, rivolse una lettera di dirompente attualità. Cito solo un passo, particolarmente significativo: «Ti dico con fermezza che, di fronte al dilemma che mi sembra tu stia vivendo, riformismo o rivoluzione, sono francamente per la prima soluzione, convinto che non vi sia altra rivoluzione vera da compiere all'infuori di quella che si attua spingendo al massimo in ogni fase storica le possibilità concrete e reali di riforma... Credo che occorra custodire in se stessi intimamente un'anima rivoluzionaria, operando però nel concreto, con metodo. Bisogna lavorare tenacemente, realisticamente, instancabilmente, senza sentirsi mai soddisfatti, guardando avanti al domani senza perdere di vista il presente».

Venticinque anni dopo Zaccagnini è un modello e un punto di riferimento non soltanto per il partito democratico ma per tutta la politica italiana.
*
 Deputato PD, portavoce di AmiciDem


giovedì 24 luglio 2014

Un Senato di anarchici

Il Senato della Repubblica italiana è in preda all'anarchia, cominciando da suo presidente l'ex magistrato Grasso, un'altra delle belle trovate del caro Bersani. Adesso vuol far votare gli emendamenti alla riforma del senato a scrutinio segreto. Mai visto una cosa simile, ci voleva proprio un magistrato per inventare questa nuova  prassi, giusto per coprire senatori che si vergognano delle loro idee.
I senatori del mezzo partito Sel hanno presentato seimila emendamenti, come se questi quattro gatti rappresentassero tutta l'Italia intera.
Il senatore Corsini nel suo intervento al senato, prima di esporre le sue ponderose considerazioni, si è scusato di non essere né un giurista né un costituzionalista, invero non ce n'era bisogno, alla fine però con ineffabile modestia si è paragonato a S.Paolo, citando la lettera scritta dall'apostolo prigioniero nelle carceri di Roma, al suo discepolo Timoteo. Poveretto non ha più limiti! Ha ricevuto molti applausi dai cinque stelle e dalla mezza Sel.
Io sto con il Presidente Napolitano. Tutti questi sconsiderati senatori che parlano a vanvera di democrazia e partecipazione, la democrazia la stanno affossando. Sono degli irresponsabili, questa loro ostilità al governo Renzi ce la faranno pagare cara. La pagheranno cara tutti gli italiani

mercoledì 16 luglio 2014

Alcune voci dei dizionari italiani

vanaglòria s. f. [dalla locuz. lat. vana gloria «vanteria vuota»]. – Sentimento di vanità, di fatuo orgoglio, per cui si ambisce la lode per meriti inesistenti o inadeguati; nella teologia morale cattolica è definita come l’immoderato desiderio di manifestare la propria superiorità e di ottenere le lodi degli uomini: peccare di vanagloria.

laudator temporis acti  (lat. «lodatore del tempo passato»). – Espressione di Orazio (Ars poetica, 173), che attribuisce questa qualità agli anziani, considerandola, insieme con altre, uno dei tanti malanni da cui è afflitta l’età senile; in realtà l’espressione completa è laudator temporis acti se puero («lodatore del tempo passato, quando egli era fanciullo»). È frase assai frequentemente usata con riferimento sia a chi, essendo per principio conservatore o tradizionalista, mostra di non voler accettare le novità, sia ai nostalgici di passati regimi, sia più genericamente (ma anche con senso più vicino a quello della frase oraziana) a quelle persone anziane che troppo spesso e noiosamente parlano del loro tempo nel quale, a loro parere, tutto andava meglio che nel presente.      

vanitóso agg. [der. di vanità]. – Pieno di vanità, detto soprattutto di persona che, ritenendo di possedere doti fisiche e intellettuali, le ostenta per ricevere dagli altri lodi e ammirazione.

Per me queste voci sono il ritratto di certi senatori del Pd che tengono sulla corda Renzi senza avere il coraggio di trarre le dovute conseguenze per quel che affermano nei media. Ripeto: nell'attuale contesto di grave crisi dell'Italia, questi senatori sono soltanto dei vanagloriosi irresponsabili.


 

mercoledì 23 aprile 2014

L'anonimo Vannino

Il senatore Vannino Chiti, toscano come il premier Renzi, è un politico ex comunista di lungo corso.
Secondo le notizie fornite da Wikipedia, egli comincia la sua carriera politica come consigliere comunale di Pistoia nel 1970, poi diventerà sindaco. Nel 1985 viene eletto consigliere regionale per la Toscana poi farà il Presidente. Nel 2001 viene eletto deputato e quindi ministro nel secondo governo Prodi. Nel 2008 viene eletto senatore e riconfermato nel 2013. Non ha mai avuto un giorno libero da incarichi pubblici. Una lunga e brillante carriera politica dunque, eppure  il senatore Vannino Chiti è rimasto un  politico anonimo. La sua notorietà  è solo di questi giorni per via del progetto di riforma del senato alternativo a quello del governo. Difficile quindi non pensare che più di tutto gli stia a cuore la paura di dover andare in pensione.

giovedì 27 marzo 2014

Nuovi guai per Renzi, i giovani turchi del PD contro il decreto lavoro

Nuovi guai per Renzi,
i giovani turchi del Pd
contro il decreto lavoro


Questo è il titolo di un articolo sulla Stampa on-line di oggi; i giovani turchi sarebbero pronti a votare contro il decreto del ministro del lavoro.
Ogni poco si fanno vivi anche i giovani turchi, che di giovane  non hanno più neanche l'età, sono solo turchi!  Il Mustafa Kemal che guida la corrente è il prode Fassina;  sono gli avversari più tenaci di Renzi. Costoro, parlamentari del PD, vivono a Roma nel mare magnum degli sprechi governativi, regionali e comunali. Ben pagati, ben protetti e ben garantiti.
Cosa volete che gliene importi dei giovani disoccupati o dei giovani precari che cercano lavoro? Niente. Il loro scopo politico è solo quello di mettere in difficoltà o di tenere sulla corda il governo Renzi. Non si rassegnano alla loro sconfitta. Dimenticando che il candidato per il quale hanno votato alle primarie ha raccolto soltanto il 18% dei consensi, vogliono che tutto il PD si riduca a queste proporzioni.  C'è sempre Vendola a dar loro una mano!

domenica 23 marzo 2014

Un equipaggio di collaudata esperienza

Ne ha già scritto lo stesso Matteo Renzi, tuttavia un breve commento alle chiacchere di quei due benpensanti Squinzi e Camusso penso che valga sempre la pena di farlo. Questi due non ce l'hanno solamente con Renzi, infatti hanno incominciato a recitare le loro litanie in copia già col governo Monti. Loro non vogliono che si sappia che qualche responsabilità dell'attuale profonda crisi economica dell'Italia, ce l'hanno anche le categorie che essi rappresentano. Non sono forse imprenditori coloro che trasferiscono capitali all'estero? O che invece di investire i loro profitti nell'economia reale, li  investono nella finanza speculativa? Non è forse vero che i nostri capitalisti sono molto bravi nel farsi assistere dallo stato invece che rischiare in proprio le loro capacità imprenditoriali?  Per conoscere le responsabilità degli imprenditori italiani nell'attuale crisi italiana, è sufficiente leggere le cronache criminali raccontate dai giornali, nelle quali: frodi, evasioni, truffe e quanto di meglio sa escogitare l'italica intelligenza li trovano sovente tra i protagonisti.
E i sindacalisti come la signora Camusso che difendono sempre e solo i dipendenti superprotetti del pubblico impiego e delle grandi aziende, lasciando alla mercé della buona o cattiva sorte, più spesso cattiva, tutta quella congerie di precari sottopagati e insicuri che sono la quasi maggioranza dei lavoratori oggi in Italia, loro non hanno nessuna responsabilità? Certo che ce l'hanno, gli uni e gli altri. Ed è per questo che si tengono stretti nel criticare solo il governo in carica, perché per loro solo il governo o più in generale la sola classe politica è responsabile dello sfascio che l'Italia sta vivendo.
La classe politica attuale di destra e di sinistra ha molte colpe ma, se fosse sola la classe politica colpevole, non saremmo messi così male. Purtroppo per noi molte altre categorie della cosiddetta società civile condividono con la politica la responsabilità dell'attuale stato di cose.
Concludendo: il duo Squinzi Camusso, che  nei bei tempi andati  li si sarebbero considerati il diavolo e l'acqua santa, oggi sono anch'essi su quella zatterona alla deriva in procinto di affondare insieme con tutti noi. E non si salveranno con il pretesto che loro erano contro il governo!  

I nemici occulti di Matteo Renzi

Il primo giorno di primavera il Corriere della Sera ha pubblicato questo editoriale di Ernesto Galli della Loggia che io ritengo di notevole interesse per capire le dinamiche politiche che  si confrontano e si scontrano intorno al premier Matteo Renzi.
Io lo condivido e ritengo sia utile ricordarlo qui a futura memoria con la speranza tuttavia che Matteo Renzi vinca la sfida in corso e sconfigga i conservatori di destra e di sinistra.

L’EDITORIALE / a chi non piace la svolta renziana

Milano, 21 marzo 2014 - 08:01

Il conflitto sotterraneo

di Ernesto Galli della Loggia


Non è affatto vero che Matteo Renzi riscuota il consenso vasto e generale che spesso gli si accredita. È piuttosto vero il contrario, e cioè che la sua figura divide il Paese in due parti contrapposte, anche se lo fa in modo nuovo rispetto a divisioni analoghe avutesi in passato. Quella indotta da Renzi, infatti, a differenza per esempio di quella prodotta da Berlusconi, è una divisione non gridata né per il momento troppo esibita, dai toni anzi volutamente sommessi; inoltre, lungi dal passare lungo linee politiche tradizionali (Destra e Sinistra per intenderci) essa tende con tutta evidenza ad attraversarle e confonderle.

L’Italia renziana è l’Italia indifferenziata dell’opinione pubblica largamente intesa. Che legge poco i giornali ma assai di più vede la televisione; che non ha troppa dimestichezza con la politica e ne ragiona in termini semplici; che è incline a credere più nelle persone che nelle idee. È, per dirla in breve, l’Italia che «non ne può più» e in generale desidera comunque un cambiamento. Un Paese in molti sensi «medio», nel quale però è dato di trovare anche parti consistenti di un Paese socialmente e culturalmente ben più sofisticato.

Ma accanto a questa c’è una non trascurabile Italia antirenziana. Un’Italia nella quale spiccano soprattutto vasti settori dell’ establishment , che pure, come si sa, è ormai da molto tempo orientato verso il centrosinistra. Dunque pezzi significativi, forse maggioritari, della Confindustria, dell’alta burocrazia e dell’economia pubblica, del sottomondo politico in particolare romano, della Rai, molti importanti commentatori e giornalisti; ma insieme anche quella parte del «popolo di sinistra» più antica o più ideologicamente coinvolta, numerosi quadri medio-alti dello stesso partito di Renzi e della Cgil. È, quella ant irenziana, un’Italia la quale si guarda bene dall’esprimere un’avversione esplicita. Più che dire, lascia capire. Con i toni sommessi, le mezze parole, spesso i silenzi, lascia capire che il presidente del Consiglio non le piace per nulla: a causa del suo modo di essere e di fare, della scorciatoia alquanto brutale presa per defenestrare il suo predecessore, a causa di quello che viene giudicato l’avventurismo del suo programma e delle sue promesse.

Questo almeno è quanto essa dice. Ma in realtà l’Italia antirenziana è sconcertata e inquieta specialmente perché non capisce dove andrà a infrangersi, e soprattutto chi e che cosa sommergerà, quali equilibri, l’ondata di novità che il presidente del Consiglio ha annunciato. Proprio ciò che conquista una parte del Paese ne preoccupa l’altra, insomma.

Il fatto è che la comparsa sulla scena di Renzi minaccia di squarciare il velo di menzogna che negli ultimi trent’anni la politica ha provveduto a stendere sulla nostra realtà sociale. Per tutto questo tempo la politica ci ha detto che c’erano una Destra e una Sinistra, divise da fondamentali differenze di valori e di programmi. Forse ciò era vero per i valori; certamente assai meno per i programmi e in specie per la volontà di realizzarli. Dietro la divisione proclamata e rappresentata dalla politica, infatti, è andata crescendo e solidificandosi una realtà ben altrimenti compatta del potere sociale italiano. All’insegna della protezione degli interessi costituiti; della moltiplicazione dei «contributi» finanziari al pubblico come al privato; della creazione continua di privilegi piccoli e grandi; della disseminazione di leggine e commi ad hoc ; della nascita di enti, agenzie, authority, società di ogni tipo; all’insegna comunque e per mille canali dell’uso disinvolto e massiccio della spesa pubblica. In tal modo favorendo non solo lo sviluppo di uno strato di decine di migliaia di occupanti - quasi sempre gli stessi, a rotazione - di tutti i gabinetti, gli uffici legislativi, gli uffici studi, di tutte le presidenze e di tutti i consigli d’amministrazione possibili e immaginabili, ma altresì il sorgere di un soffocante intreccio di relazioni, di amicizie, di legami personali. Un potere sociale solidificato, includente a pieno titolo anche il sistema bancario e l’impresa privata, che ha usato e usa disinvoltamente la politica - di cui aveva e ha un assoluto bisogno - schierandosi indifferentemente a seconda delle circostanze con la Sinistra, cercando però di non dispiacere alla Destra, e viceversa. E che sia la Destra che la Sinistra si sono sempre ben guardate dallo scalfire.

Finora tuttavia la radicale divergenza d’interessi tra questa Italia «protetta» e l’Italia «non protetta», questo reale, autentico conflitto di fondo, non è mai riuscito ad avere alcuna vera rappresentazione politica, a dar vita a un reale e vasto conflitto tra le parti politiche ufficiali. Renzi invece minaccia esattamente di rovesciare questa tendenza: di restituire realtà sociale vera alla politica, aprendo importanti terreni di scontro tra le due Italie.

Per il momento, è vero, lo ha fatto solo simbolicamente, allusivamente. Con la sua figura, grazie al suo stile personale e al suo linguaggio, identificandosi in particolare in un solo messaggio: la necessità di rompere confini e contenuti dell’universo politico finora vigente. Ma tanto è bastato perché se da un lato ricevesse immediatamente un consenso assai vasto e trasversale da parte del Paese che socialmente conta di meno, dall’altro lato, però, vedesse nascere contro di sé la diffidenza ironica, lo scetticismo, un’ostilità venata di paternalistico compatimento, da parte del Paese che conta di più e ne teme il dinamismo e i propositi, avendo capito che sarebbe esso il primo a farne le spese. «Non sarai tu, povero untorello, che spianterai le mura di Milano» sembra dirgli l’Italia antirenziana, forte della sua collaudata capacità di sopravvivenza.


venerdì 21 marzo 2014

A cinque anni dalla scomparsa di Piero Padula.

Questa sera ho assistito alla santa Messa celebrata nella chiesa di S.Faustino per ricordare la scomparsa di Pietro Padula avvenuta or sono cinque anni.
Dopo aver ascoltato Tino Bino e Innocenzo Gorlani che hanno tratteggiato la figura di Padula, amico prima che politico e sindaco della città, mi sono ricordato di ciò che scrissi di lui il giorno dopo la sua morte. E ho trovato quel ricordo meritevole di essere riletto ancora oggi. quindi lo ripropongo qui:


L’on. Pietro Padula è stato deputato per quattro legislature, quella da senatore la interruppe per fare il sindaco della città dall’85 al ’90. Chi era Pietro Padula? Molti suoi amici nel piangere la sua scomparsa ne tesseranno lodi, che spesso in questi frangenti  sovrastano il sentimento della perdita, e la memoria un poco si affievolisce, e si ricorda dell’amico, dell’avversario, i tratti umani che l’hanno fatto un personaggio, un leader, un combattente politico.

Pietro Padula è stato un leader politico, a Brescia, il capo della corrente dei basisti che nella Democrazia Cristiana interpretava l’anima antifascista, democratica e popolare del partito. Con lui c’erano altre personalità democristiane come i compianti Giulio Onofri e Mino Martinazzoli; Ciso Gitti e altri “avvocati” con ruoli e attitudini diverse, ma il vero capo, l’animatore e organizzatore della corrente, colui che dettava la linea era lui: Padula. Egli sapeva suscitare nei suoi amici sentimenti di fedeltà politica alla sua persona e alla sua politica che non conosceva titubanze. D’altra parte con i suoi amici si comportava con grande generosità; con la stessa caparbietà con la quale difendeva le sue idee, le sue scelte, nello stesso modo promuoveva e difendeva i suoi amici.

Non era facile andar d’accordo con Padula, non era un tipo accomodante; nelle molte riunioni o discussioni alle quali si partecipava in quei tempi, capitava talvolta di scorgere sul suo volto lo stupore nel constatare che qualcuno, che non gli era avversario, potesse avere opinioni diverse dalle sue. Era di temperamento molto combattivo, insofferente delle chiacchiere inutili, realista quanto deve esserlo un leader e tuttavia votato alla politica intesa come servizio alla società, alla sua città, al suo mondo. Egli non faceva sfoggio di attitudini intellettuali, ma la sua formazione di cattolico democratico e popolare, la sua preparazione giuridica la dimostrava nei fatti e nelle azioni della politica.

Era un carattere non facile Padula , eppure cordiale e generoso, intransigente e testardo, non direi fazioso, semmai un po’ ostico in qualche circostanza. Ebbe quindi molti amici, ed anche avversari tenaci, molto tenaci.

Si trovò a fare il Sindaco durante un periodo difficile per la città. Molte aziende che avevano fatto di Brescia la seconda città industriale della Lombardia stavano chiudendo, era in atto una trasformazione radicale del tessuto produttivo della città e perciò i problemi sociali legati a questa trasformazione si riversavano sul tavolo del Sindaco, egli non poteva avere strumenti risolutivi di questa crisi eppure il suo interessamento e il suo impegno fu molto intenso, poco appariscente, ma, per i suoi legami con la politica nazionale, sempre puntuale. Pure la situazione politica era molto complicata: la Dc ormai aveva abbandonato la linea politica di Aldo Moro e si affidava quasi del tutto al dinamismo craxiano con le conseguenze che di lì a qualche anno sarebbero state visibili a tutti.

Con lui sindaco il consiglio comunale deliberò per la prima volta l’avvio della progettazione della metropolitana, un progetto avversato da parte del consiglio e da parte della stessa DC. Però la vera opera pubblica per la quale voleva fosse ricordato il suo nome fu il Palazzo di Giustizia. Forzò la mano al consiglio, pressato anche dalla magistratura del tempo, affinché scegliesse un’area nel centro storico e la scelta cadde sull’area comunale di Spalti S.Marco, per molti chiaramente inadeguata per la mole dell’edificio che si doveva costruire. Infatti le polemiche si scatenarono abbastanza presto fomentate anche dai suoi avversari nella DC stessa, tanto che si dovette ripiegare sull’area dell’ex mercato ortofrutticolo. Ricorderei di Padula sindaco invece una scelta molto coraggiosa e impopolare, la discarica controllata nel territorio comunale nel quartiere di Buffalora. L’emergenza rifiuti fu affrontata da lui nel solo interesse della città, senza preoccuparsi del consenso popolare che veniva meno.

Nel ’90 venne ripresentato dalla dc come capolista, fu il primo degli eletti, ma, nel consiglio, il numero dei suoi avversari fu maggiore dei suoi amici e gli venne negata la rielezione a sindaco. Questo comportamento sanzionava l’inizio dell’agonia della Dc che qualche anno dopo, travolta da tangentopoli, l’on. Martinazzoli si incaricherà di decretarne la fine. Neppure i consiglieri comunisti, allora secondo partito della città, prigionieri del loro schematismo ideologico, seppero affrontare la situazione con la lucidità che le circostanze richiedevano. E Padula si dovette ritirare. Si avviò così un periodo di instabilità con lo scioglimento per due volte del consiglio comunale ed infine vennero alla ribalta nuove formazioni politiche, come la Lega, e Forza Italia che nel giro di due mandati hanno conquistato la città.

L’on Padula, come molti suoi amici, si fece da parte, non salì sulla nuova ribalta politica, lavorò discretamente a favore dei suoi amici più stretti che ancora resistevano. Anche lui come molti che con lui hanno condiviso le stagioni della Democrazia Cristiana bresciana, non lascia eredi. I nuovi hanno creduto di accreditarsi all’opinione pubblica, agli elettori, accentuando una discontinuità con il passato. Ma il passato che non vogliono riconoscere è un grande passato, di grande spessore politico e culturale, di amore per la città e per il suo popolo e Padula fa parte a pieno titolo di queste stagioni: spesso difficili, a volte tragiche a volte luminose, tuttavia da non dimenticare. Per questo ricordiamo con rimpianto la sua scomparsa.

Egidio Papetti

sabato 4 gennaio 2014

Fassina si dimette da viceministro

Fassina si è dimesso da viceministro perché non ha gradito una battuta del segretario del PD Matteo Renzi. Si è dimenticato che pure lui durante la campagna per le primarie non ha risparmiato battute velenose contro Renzi. Se fosse una persona intelligente saprebbe dare il giusto peso alle battute polemiche, ahimè mostra invece di essere un tantino bambinello! Già una volta si era dimesso perché nessuno lo informava delle decisioni del governo in materia di politica economica, della quale  sostiene di essere un esperto. Oggi si dimette perché è stato in disaccordo con Renzi durante le primarie per la segreteria nazionale. Forse si è reso conto solo ora che Renzi è stato eletto e il suo candidato sconfitto. Se uno si vuol dimettere dal governo di cui fa parte, dovrebbe prendersela con chi lo guida il governo! Poveretto manca anche di logica. Il lato comico di tutta la vicenda è che a difenderlo stasera c'è solo il senatore Gasparri, diciamo che si tratta di solidarietà fra compaesani.