domenica 23 novembre 2025

SAGGIO SUI PROTAGONISTI DE "I PROMESSI SPOSI"

 


DON RODRIGO INNAMORATO


Nei Promessi Sposi, Alessandro Manzoni, fra i tanti personaggi che ci fa conoscere sceglie per primi don Abbondio e i Bravi. Di quest’ultimi ne fa un ampio resoconto della loro presenza nel Ducato di Milano fin dal 1500, ma illustra anche una serie di Gride, cioè leggi emanate dalle autorità spagnole per reprimere queste milizie private al servizio delle famiglie aristocratiche spagnole che dominavano a Milano. Ma tutto inutilmente, giacché alla data del 7 novembre 1628 don Abbondio incontra sulla via del ritorno della sua passeggiata quotidiana i bravi di don Rodrigo. Questi è il terzo personaggio di cui Manzoni ci fornisce il nome. Di famiglia aristocratica è il signorotto del luogo dove ha inizio la storia di Renzo e Lucia, i Promessi Sposi. Questi bravi intimano a don Abbondio di non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia, previsto per l’indomani, pena la morte per don Abbondio. 

Perché don Rodrigo non vuole che sia celebrato questo matrimonio? Lo verremo a sapere in seguito quando Lucia confesserà a Renzo e a sua madre Agnese che don Rodrigo per due volte aveva tentato di interloquire con lei. E dalle poche parole con le quali descrive questi due tentativi, Manzoni lascia intendere che furono approcci di un giovane, più o meno dell’età di Renzo, che ha vent’anni. Anche don Rodrigo sembra essere  attratto dalla “modesta bellezza” di Lucia, giovinetta di spiccata personalità, nutrita da una grande religiosità, mascherata dalla riservatezza. Nel primo approccio don Rodrigo le rivolse “parole non punto belle” mentre l’amico che era con lui rideva, Don Rodrigo disse: “scommettiamo”. Noi sappiamo dal seguito del romanzo che don Rodrigo scommette con il cugino il conte Attilio, che avrebbe conquistato i favori di Lucia entro il giorno di S. Martino, cioè entro l’undici di novembre. Il che spiega l’intimazione fatta a don Abbondio il giorno prima della celebrazione delle nozze, quando mancano pochi giorni alla scadenza della scommessa. Don Rodrigo si rende conto di aver perso la scommessa, ma non ritiene ancora chiusa la partita con Lucia e il suo desiderio di conquistarla.   

Continuando il suo racconto Lucia dice che nel secondo tentativo, il giorno dopo non riuscì a parlarle, il suo amico sghignazzava e don Rodrigo disse: “vedremo”. Evidentemente il conte Attilio lo canzonava per l’insuccesso del suo approccio con Lucia. Se come io penso e come appare dal seguito del romanzo, don Rodrigo fosse innamorato anch’egli di Lucia, il suo tentativo di impedire il matrimonio con Renzo dimostra una sua moralità, nel senso che una volta sposata, Lucia non sarebbe più potuta essere sua. Finché il matrimonio non viene celebrato può sempre sperare di far sua Lucia, anche contro la sua volontà. 

Proseguendo nel racconto entra in scena fra Cristoforo, un frate cappuccino, anch’egli persona ancor giovane, il quale pensa di poter convincere don Rodrigo di lasciar perdere Lucia perché la sua passione per lei è un’ingiustizia, è mal posta e lo minaccia, dopo un’accesa discussione, di un castigo divino se insisterà in questa sua passione. 

Questa concitata discussione avviene nel castello di don Rodrigo dove egli si trova a pranzare con il cugino Attilio, alcuni amici, fra i quali le autorità del posto, mentre discutono di un argomento caro agli studiosi delle pratiche cavalleresche, che né a don Rodrigo né a fra Cristoforo interessano in quel momento. 

Nell’accesa discussione che avviene fra i due, quando si appartano da soli, nasce nel cuore di don Rodrigo il sospetto che anche il frate abbia per Lucia un qualche sentimento non proprio religioso. E da qui la gelosia. Intanto i suoi commensali se n’erano andati. Fu tale la stizza per le parole del frate e la gelosia alimentata dalla sua passione che decise di andare a Lecco con il seguito di sei bravi in una casa “riserbata agli uomini che si fanno molto amare o molto temere”, andò in una casa di tolleranza. Ma fu l’indomani mattina che progettò il primo vero crimine della sua vita, incaricò il suo fedele Griso di organizzare per la notte seguente il rapimento di Lucia. La sua passione e l’onore della sua casata, ricca di illustri personaggi, gli imponevano di reagire, non poteva lasciarsi intimorire da una fratucolo impertinente come fra Cristoforo.

La cura e la premura nell’organizzare il rapimento denotano ancor più la sua passione per Lucia; viene approntata una bussola dove nasconderla e trasportarla dopo il rapimento, viene raccomandato al Griso e agli altri sgherri di non dar nell’occhio ma, soprattutto, di trattare bene Lucia, tanto che il Griso con un po' d’ironia gli risponde “il minimo indispensabile”, non poteva certo invitarla a salire sulla bussola! Fatto sta che in quella notte anche Renzo, Lucia, Agnese e i due cugini di Renzo hanno organizzato, un’incursione nella casa di don Abbondio; col favore delle tenebre tentano di entrare furtivamente in canonica, sorprendere il curato e farsi sposare in modo non proprio canonico, a dir poco piuttosto avventuroso. Ma il piano fallisce, il curato respinge l’incursione chiama aiuto e il sacrestano Ambrogio si mette a suonare a stormo la campana della chiesa. Negli stessi momenti i bravi stanno entrando nella casa di Agnese e non trovano nessuno. E’ la notte degli inganni, succede un tale parapiglia che tutto il paese si sveglia, i bravi sono costretti a darsela a gambe, nel frattempo Menico arriva con il messaggio di fra Cristoforo, il quale ha saputo del rapimento, grazie ad un vecchio servitore di don Rodrigo che origliando sa delle intenzioni del suo padrone e le ha  spiattellate al frate,  e Menico  invita tutti a rifugiarsi presso il monastero, da dove in tutta fretta fra Cristoforo ha organizzato la loro partenza, Lucia per un convento di suore a Monza e Renzo per un convento di cappuccini a Milano. Evidentemente il frate pensa che l’intento di don Rodrigo è di natura criminale, non certo dettato da una passione amorosa.

Nell’attesa del rientro dei bravi, don Rodrigo si preoccupa di ripassare se avesse preso tutte le precauzioni per non essere incolpato di nulla ma, innanzitutto, rimugina fra sé sul modo di trattare bene Lucia per farla sentire a suo agio, quali parole usare per conquistarla, in una parola la sua è soprattutto una preoccupazione da innamorato. Tornati i bravi a mani vuote, don Rodrigo si premura di sapere se sono stati riconosciuti e l’indomani manda il Griso in paese per sapere cosa si dice di quella notte, ma nessuno sa niente di preciso se non che i tre, Agnese, Renzo e Lucia sono fuggiti a Pescarenico. Ma a furia di chiedere e domandare trova anche la spiegazione della casa vuota di Agnese dovuta al fatto che erano in casa del curato. Tanto basta per tranquillizzare don Rodrigo che vuole dal Griso notizie di dove siano finiti. Del resoconto fornitogli dal Griso, don Rodrigo ne racconta al cugino Attilio, venuto a riscuotere il premio della scommessa vinta. Il conte Attilio intuisce al volo che in tutto l’accaduto c’è lo zampino di fra Cristoforo e la cosa non può essere lasciata cadere. La famiglia di don Rodrigo e del cugino Attilio è una famiglia importante, il loro “Conte Zio” è membro del consiglio segreto del governatore di Milano, è dunque una famiglia potente , con relazioni altolocate, lo zio è un politico navigato e scaltro, e Attilio si rivolge a lui per dare una dura lezione a fra Cristoforo. In una pagina memorabile assistiamo al colloquio tra il conte zio e il padre provinciale dei cappuccini, durante il quale con consumata diplomazia da parte di entrambi si decide l’allontanamento di fra Cristoforo da Pescarenico. 

Manzoni quando descrive i rapporti di don Rodrigo con i contadini del suo feudo, ci fa sapere che non si discosta  in nulla dai normali comportamenti  per quei tempi; erano suoi sudditi lo riverivano, lo rispettavano, non dà notizie di angherie o soprusi nei loro confronti da parte sua. 

Il Griso viene a sapere in maniera molto curiosa, descritta da Manzoni in un brano di grande ironia, che Lucia è a Monza e Renzo a Milano. Infatti, il barrocciaio che aveva portato i due promessi sposi a destinazione, al ritorno raccontò in gran segreto al suo amico barcaiolo che li aveva traghettati attraverso il lago, qual era stata la loro destinazione. E siccome il barcaiolo aveva anche lui un amico, in gran segreto gli raccontò dov’erano finiti. Così di segreto in segreto la notizia giunse anche al Griso e da lui a don Rodrigo, il quale si rallegrò molto della notizia, giacché essendo così separati non si sarebbero potuti sposare. La cosa che temeva di più. Don Rodrigo incarica il Griso di andare a Monza per sapere dove si trovasse Lucia. Il Griso era molto riluttante perché da Monza era fuggito dopo un omicidio e si era rifugiato da don Rodrigo e temeva di essere arrestato, ma alla fine dovette andare seppure a malincuore. A quei tempi le cose funzionavano così. “L’immunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere. Tali erano gli asili, tali i privilegi di alcune classi”, non solo le famiglie aristocratiche proteggevano i delinquenti che prendevano al loro servizio come milizie private, lo stesso ordine dei Cappuccini aveva questo privilegio e lo difendeva con ostinazione e con “gelosia di puntiglio”. Ma il Griso tornò a mani vuote e don Rodrigo determinato a concludere questa avventura si rivolse al suo amico l’Innominato. Del quale non si conosce il nome, ma si conoscono le scelleratezze compiute  e l’immunità che si era conquistata a suon di delitti. Era stato messo al bando, considerato nemico della forza pubblica,  ma tollerato per la sua scelleratezza, ora viveva in un castello difficile da raggiungere, da dove continuava a svolgere azioni delittuose per conto d’altri.

Don Rodrigo era amico dell’Innominato, ma non ci teneva molto a farlo sapere, anzi la teneva il più possibile nascosta. Manzoni la descrive così: “Dal castellaccio di costui al palazzotto di don Rodrigo, non c’era più di sette miglia: e quest’ultimo, appena divenuto padrone e tiranno, aveva dovuto vedere che, a così poca distanza da un tal personaggio, non era possibile far quel mestiere senza venire alle prese, o andar d’accordo con lui. Gli s’era perciò offerto e gli era divenuto amico, al modo di tutti gli altri, s’intende; gli aveva reso più d’un servizio e ne aveva riportate ogni volta promesse di contraccambio e d’aiuto in qualunque occasione. Metteva però molta cura a nascondere una tale amicizia, o almeno a non lasciar scorgere quanto stretta e di che natura fosse.” Anche don Rodrigo amava la bella vita frequentava i suoi amici a Milano, un’aperta amicizia  con un tale ribaldo non gli giovava, specialmente nei confronti del conte zio, “però quel tanto d’una tale amicizia che non era possibile di nascondere, poteva passare per una relazione indispensabile con un uomo la cui inimicizia era troppo pericolosa”. Sicché una mattina don Rodrigo a cavallo e sei bravi a piedi si recò al castello dell’Innominato.

Gli avvenimenti che si susseguono dopo l’incontro di don Rodrigo con l’Innominato, il quale prese su di sé l’impresa di rapire Lucia dal convento dov’era alloggiata, mettono in evidenza la spiccata personalità di Lucia, la sua cristallina intransigenza, la sua profonda fede religiosa e la benevolenza che ogni persona venuta in contatto con lei nutriva immediatamente per la sua innocenza e umiltà. Già con la madre e con Renzo quando architettarono la stramba idea di ricorrere al sotterfugio di sorprendere don Abbondio, proposto da Agnese , lei fu strenuamente contraria e si accordò malvolentieri all’idea solo per la minaccia che Renzo proferì, se non acconsentiva,  di compiere uno sproposito.

Ma andiamo adesso al tempo trascorso nel convento presso La Signora, cioè con Geltrude che la prese con sé sotto la sua protezione. Al primo incontro con la signora Lucia si turbò non poco per le domande che le venivano fatte circa in suoi rapporti con Renzo dei quali Lucia non pensava fossero materia cara alle monache. Ovvero del perché tanta ostilità per don Rodrigo, giovane di nobile famiglia certamente non un mostro! Alla fine, la signora per “la compiacenza di proteggere e  una certa inclinazione per Lucia, e anche un certo sollievo nel far del bene a una creatura innocente”, si prese cura assiduamente della fuggitiva.  

L’ Innominato aveva tra suoi sodali lo sciagurato Egidio, che, come sappiamo, alloggiava in una casa attigua all’appartamento occupato dalla signora nel convento di Monza e con la quale lo sciagurato aveva una relazione che rese la monaca colpevole di vari delitti. L’Innominato mandò il Nibbio uno dei suoi bravi il più fidato a informare Egidio dell’impegno che si era assunto con don Rodrigo. Il ribaldo tornò più in fretta di quanto si aspettasse con la risposta che la cosa era fattibile e che avrebbe pensato tutto lui, bastava mandasse una carrozza e tre bravi naturalmente non riconoscibili come bravi. Egli contava sulla sottomissione di Geltrude, e sulla loro complicità nel delitto.

Manzoni descrive così la reazione della signora alla proposta di Egidio “La proposta riuscì spaventosa a Gertrude. Perder Lucia per un caso impreveduto, senza colpa, le sarebbe parsa una sventura, ma privarsene con una scellerata perfidia […]. La sventurata tentò tutte le strade per esimersi dall’orribile  comando”. Ma non fu capace di sottrarsi alla passione che legava i due amanti. Il giorno convenuto dovette inventare una scusa per costringere Lucia a uscire dal convento. “Gertrude ritirata con Lucia  nel suo parlatorio privato, le faceva più carezze dell’ordinario, e Lucia le riceveva e le contraccambiava con tenerezza crescente”. Il rapporto fra le due donne, dopo le prime iniziali difficoltà era diventato molto affettuoso proprio per la spiccata personalità di Lucia fatta di umiltà, di innocenza e di tenerezza. Naturalmente Lucia obiettò fermamente prima di accettare; in particolare i suoi timori per non essere del posto e la sua inadeguatezza a muoversi fuori del convento in una città che non conosceva affatto, ma la signora riuscì a convincerla, anche se all’ultimo istante ebbe una breve titubanza, ma la lasciò andare e il rapimento si concluse.

Il Nibbio e gli altri sgherri la caricarono a forza sulla carrozza che partì a gran carriera per il castello dell’Innominato, il quale, quando apparve in fondo alla valle la carrozza, ebbe un primo impulso di liberarsi subito della donna senza averla nemmeno vista. Pensava di ordinare al Nibbio di portarla direttamente da don Rodrigo, ma poi, giacché provava un certo turbamento per questa impresa che si era assunto con troppa fretta, decise di farlo l’indomani. 

Del viaggio conviene ascoltare cosa disse il Nibbio all’Innominato: “dico il vero che avrei avuto più piacere che l’ordine fosse di darle una schioppettata nella schiena, senza sentirla parlare, senza vederla in viso” […] “Voglio dire tutto quel tempo, tutto quel tempo…m’ha fatto troppa compassione”. E continua raccontando i comportamenti di Lucia che lo avevano commosso fino alla compassione, le preghiere, il pianto e certi occhi, veramente il Nibbio è così colpito da Lucia che trasmette il suo turbamento anche all’Innominato il quale decide di rimandare tutto all’indomani e incarica una vecchia del castello di accudire Lucia. Dapprima aveva pensato di mandarla subito da don Rodrigo, ma poi decide di volerla vedere e conoscere;  l’incontro con Lucia, le parole che lei gli rivolge , le suppliche che ella fa all’uomo potente, il suo richiamo alla misericordia divina che tutto perdona per una buona azione, convincono l’Innominato della ragione del Nibbio e le promette che  l’indomani l’avrebbe lasciata libera. Le pagine che Manzoni dedica a questo colloquio mettono in luce una personalità di Lucia che lo stesso Innominato non s’aspettava e che, oltre ai suoi turbamenti riguardo il timore della morte, lo travolgono di una inaspettata novità da questa giovane che aveva promesso al suo sodale senza neanche pensarci troppo.

Ma ora torniamo a don Rodrigo. Liberata Lucia e ritrovata la madre, quest’ultima alle domande del cardinal Borromeo che voleva sapere come si fosse trovata in quella circostanza, spiattellò del matrimonio mancato a causa delle minacce di don Rodrigo e di tutto quanto successe in seguito. Lucia corresse la versione della madre che tendeva a nascondere la parte avuta nell’imbroglio della notte famosa. Il cardinale che avrebbe fatto visita anche al paese di Lucia assicurò le donne che avrebbe chiesto chiarimenti al curato. Intanto in paese si era sparsa la lieta notizia, della conversione dell’Innominato, la qual cosa ridimensionò di molto il timore delle angherie di don Rodrigo, tanto che non solo i suoi amici, ma lui stesso, sorpreso dalla inaspettata notizia, mentre stava aspettando l’esito del rapimento, pensò bene di stare rintanato in casa per due giorni in compagnia dei suoi bravi. Il terzo se ne partì per Milano, quasi da fuggitivo; avrebbe voluto rintuzzare qualcuno dei più temerari che mormoravano contro di lui e riaffermare la sua tirannia, come la definisce Manzoni; ma fu la certezza della venuta in paese del cardinal Borromeo, alla cui visita il conte zio avrebbe preteso la presenza di don Rodrigo, sia  in rappresentanza della sua nobile famiglia sia per l’importanza  politica che il conte zio rivestiva a Milano, che convinse don Rodrigo ad allontanarsi. Sicché “alzatosi una mattina, prima del sole, si mise in una carrozza, col Griso e con altri bravi, di fuori, davanti e di dietro; e lasciato l’ordine che il resto della servitù venisse poi in seguito, partì…giurando di tornare ben presto a far le sue vendette”. Ma don Rodrigo non tornò mai più nel suo Castello.

Ritroviamo don Rodrigo nel pieno dell’infuriar della peste, lo rivediamo mentre torna a casa in Milano con il Griso e con i pochi bravi che gli erano rimasti. Quel giorno aveva gozzovigliato con gli amici divertendo tutti con battute spiritose per il cugino Attilio morto di peste due giorni prima. Tornando a casa sentì i primi sintomi della malattia si mise a letto e mandò il Griso a chiamare un medico fidato. Si addormentò fece un sogno nel quale gli apparve fra Cristoforo che gli annunciava la maledizione divina e un dolore acuto che al risveglio si rivelò essere un bubbone pestifero. Rientrò il Griso, accompagnato, non dal medico fidato, ma dai monatti, chiamò invano aiuto, lo rapinarono di ogni cosa pregiata e  lo portarono al Lazzaretto. Il racconto della malattia di don Rodrigo, di quest’uomo potente, giovane e ricco, sicuramente innamorato, le parole misurate e pietose usate dal Manzoni nel descriverla mi hanno sempre mosso a una certa compassione per don Rodrigo; il tradimento del Griso, un vero personaggio diabolico. 

Se paragono le angherie di don Rodrigo a quel che fecero i giudici di Milano condannando gli untori, Il Mora e gli altri, per una diceria popolare condivisa dallo stesso cardinal Borromeo, che Manzoni denuncerà nella famosa opera “Storia della colonna infame” e per quanto tempo quella colonna eretta in memoria dell’esecuzione degli untori, fu lasciata nel centro della città di Milano, allora penso che – per quei tempi – un giovane innamorato come don Rodrigo può essere assolto.

Infatti, noi troviamo i quattro protagonisti di questa storia proprio nel Lazzaretto; Renzo, guarito della peste è in cerca di Lucia; incontra fra Cristoforo, anche lui con i segni della malattia, che presta il suo servizio ai malati, poi incontra don Rodrigo ormai morente; Renzo è preso da compassione per il suo rivale e d’angoscia pensando a Lucia che non sa se sia ancora viva.  Infine, trova anche Lucia, guarita che accudisce una signora sua benefattrice non ancora del tutto rimessa. Di questi quattro giovani, veri protagonisti del romanzo, la scrittura del Manzoni i molti libri che riportano le incisioni o i disegni dei personaggi allontanano l’idea della loro giovinezza, ma noi sappiamo dal romanzo che il giorno che Renzo doveva sposarsi è l’ 8 novembre del 1628 e ha vent’anni e Lucia è più giovane, che la peste imperversò nel 1630, descritta dal Ripamonti e dai medici Settala e Tadino che non riuscirono a impedire la diffusione della diceria dell’untore. Questa è una storia di due giovani, di classi sociali assai lontane, innamorati della stessa donna, di spiccata personalità che affascina tutti coloro che l’hanno incontrata e che alla fine la Provvidenza e il Caso,  dopo tante vicissitudini, farà si che i due Promessi Sposi convoleranno a giuste nozze.

Egidio Papetti 23 Novembre 2025