Mi ha fatto piacere trovare questa lettera di Cesare Trebeschi, che pubblico per rendere testimo nianza ad un giusto.
Brescia, 9 giugno 2008
Al Direttore di Avvenire
MILANO
CESTINO DI BOFFO (Milano)
lettere@avvenire.it
a proposito di sintonia
Sarò ingenuo – caro Direttore - agli ultraottantenni càpita: ma oso credere di non essere stato il solo a leggere con disagio su Avvenire il comunicato sulla speciale sintonia tra l’Italia e gli obiettivi morali della Chiesa; oso anzi sperare che anche per Lei sia stato motivo di disagio trascrivere questa affermazione, non senza specifico riferimento alla sacralità della famiglia e della persona.
Intendiamoci: il Papa non aveva certo bisogno dell’approvazione di Avvenire – e tanto meno della mia! – per ricevere con tutti gli onori, i picchetti ed i palafrenieri il Presidente del Governo italiano, a riprova del rispetto della Chiesa per la laicità dell’impegno politico; ancor meno potrebbe scandalizzare l’averlo incontrato come un vecchio amico: vecchio, il cavaliere è certamente, avendo felicemente superato l’età nella quale la lex Sulpicia vorrebbe sexagenarios de ponte sulpicio deicere, e amico è l’appellativo che Gesù rivolse anche a Giuda (amico, con un bacio tradisci il tuo Maestro).
D’altra parte, il Papa non è il Vicario del Battista, che con voce resa rauca dall’umidità del carcere gridava non licet tibi, proprio a te che governi, non è lecito l’adulterio; è Vicario di Gesù, che a costo di sorprendere i suoi apostoli non esitava ad incontrare al pozzo di Sichem la donna di cinque mariti, e in fondo il Cavaliere si è accontentato di due mogli, raccattata una alla fermata del tramvai – si premura egli stesso di informarne tutti gli italiani nella sua autoagiografia elettorale - e sorpresa piacevolmente l’altra mentre recitava al teatro Manzoni.
Il problema non è questo: si devono rispettare le opinioni, ammoniva il nostro poeta dialettale, e comunque il rispettare il diritto - sancito da una legge e da un referendum - di dare il benservito ad una moglie sposata per abbaglio, o più banalmente per sbaglio; il problema, sul quale anche Avvenire ha versato e versa instancabilmente fiumi d’inchiostro, è filologico: cosa intende il cavaliere, e cosa intende il giornale dei Vescovi, per sacralità della famiglia? Se c’è sintonia, i lettori possono ritenere che siate d’accordo sulla sacralità del divorzio e della schedatura razzista?
D’altra parte Manzoni, caro Direttore, non è stato soltanto di buon auspicio per commedie cavalleresche; è stato un buon lavandaio della lingua patria, e ben ci potrebbe spiegare il significato delle parole: valore, sacralità, famiglia, sintonia
*
Mi consenta (opportune, importune …) di dirLe che il problema si affaccia per me in un momento particolare: ho trovato il suo giornale – che da tre generazioni cerco di considerare anche mio - al ritorno da un pellegrinaggio a Mauthausen, dove due nipotini, dopo la prima Comunione, volevano sapere dove e perché è morto il papà del nonno. Dove, non c’è molto da vedere: a Gusen il formo crematorio è circondato da villette con finestre impudicamente aperte proprio verso il camino; ed a Mauthausen, lapidi scolorite dicono che lì, e negli altri lager e gulag sparsi nella civilissima Europa che rivendica radici cristiane, sono stati immolati come le dodici tribù dell’Apocalisse, a decine e decine di migliaia, persone, ridotte a numeri senza nome.
Perché? Potevo, per educato quieto vivere, non dire che molti milioni sono morti soltanto perché ebrei, molti soltanto perché zingari, molti, come il nonno - come Massimiliano Kolbe, Teresio Olivelli, Franz Jaegerstaetter, Dietrich Bonhoeffer, Giovanni Palatucci, Marcel Gallo, … - soltanto perchè cristiani incapaci di sintonizzarsi?
cesare trebeschi, Brescia
cesare.trebeschi@virgilio.it