“Alla Leopolda Renzi voleva l’amnistia”
Ma quella proposta era tutt’altra cosa
LAPRESSE
Il bersaniano Di Traglia punzecchia il rottamatore. Quel provvedimento
riguardava la corruzione, prevedeva la confessione del reato e l’addio alla politica
riguardava la corruzione, prevedeva la confessione del reato e l’addio alla politica
Per descrivere il clima di divisioni - quando non vere antipatie - che persistono oggi nel Pd, può essere interessante raccontare un episodio, piccolo ma rivelatore. Ieri mattina, ospite in tv di Alessandra Sardoni a Omnibus, lo storico portavoce di Bersani Stefano Di Traglia ha ricordato che l’amnistia «era nelle cento proposte finali della Leopolda 2011», prevista «per politici corrotti a determinate condizioni». La discussione è poi andata avanti su altro, con questa pulce nell’orecchio dei telespettatori: Renzi era pro amnistia.
Per capire se le cose stanno davvero così bisogna incrociare un po’ di fonti scritte del 2011, oltre ai ricordi orali. Al punto 13 della Leopolda, a proposito di giustizia, si parla in effetti di amnistia; ma è un’amnistia «condizionata», e poi riguarda nella sostanza i reati di corruzione della classe politica. Le condizioni sono cinque: se il responsabile del reato «confessa il reato; menziona tutti i complici coinvolti; restituisce il maltolto; si ritira dalla vita politica», può essere amnistiato. Altrimenti, il beneficio non vale.
Si tratta di una «amnistia» diversa da quella su cui ha espresso dubbi Renzi, cioè l’amnistia alla quale ha fatto riferimento l’altro giorno il Presidente della Repubblica, citandola nel contesto del problema del sovraffollamento delle carceri, e non legandola affatto (anzi, rispondendo sdegnato a chi la legava) al problema della corruzione di qualche leader politico da amnistiare. Insomma, l’amnistia che era nelle proposte della Leopolda c’entra poco con l’amnistia dell’ultima polemica.
Ci sono tuttavia altri dettagli interessanti che emergono se si fa un po’ di archeologia di questa querelle. Il primo è che Leopolda era concepito come un cantiere aperto (un «work in progress», o un lavoro «wiki», si disse con qualche enfasi). Non un programma, ma una serie di idee aperte a tutti da cui estrarre poi quelle da presentare agli elettori. Il secondo è che il tema amnistia entrò nelle proposte della Leopolda perché appassionava Luigi Zingales, economista, in seguito avvicinatosi a Fare per fermare il declino (prima dello scandalo del falso master di Giannino). Zingales sosteneva che quella misura andasse introdotta assieme ad altre che favorissero una maggior meritocrazia nella mentalità pubblica italiana. E Renzi? Dalle fonti a disposizione non escono fuori sue affermazioni dirette pro amnistia. E qui si viene al terzo punto, che ci riporta all’inizio: al clima di divisioni dentro il Pd di oggi.
Quando Zingales alla Leopolda estrasse l’argomento «amnistia» (sia pure nella forma di cui s’è detto) bastò la sola espressione per far saltar su mezzo Pd. Nico Stumpo, il responsabile della macchina, s’incaricò di domandare: «Ho letto le proposte di Renzi. Vorrei capire bene il punto tredici dove si parla di amnistia per i corrotti». Renzi, che come si sa ha la battuta facile, sulla materia è invece sempre stato cauto e più che riflessivo.
Tra parentesi, quando ad agosto s’iniziò a parlare di un’amnistia per il sovraffollamento delle carceri (l’idea Cancellieri), col sospetto che favorisse il Cavaliere, il Pd fu tutto contro. Anzi, sdegnato. Parlò per la segreteria Davide Zoggia: «Sarebbe un’indecenza». Insomma, occhio: è un po’ come se ognuno si facesse la sua «amnistia», e la usasse poi polemicamente contro i nemici. Del suo partito, ovvio.
Per capire se le cose stanno davvero così bisogna incrociare un po’ di fonti scritte del 2011, oltre ai ricordi orali. Al punto 13 della Leopolda, a proposito di giustizia, si parla in effetti di amnistia; ma è un’amnistia «condizionata», e poi riguarda nella sostanza i reati di corruzione della classe politica. Le condizioni sono cinque: se il responsabile del reato «confessa il reato; menziona tutti i complici coinvolti; restituisce il maltolto; si ritira dalla vita politica», può essere amnistiato. Altrimenti, il beneficio non vale.
Si tratta di una «amnistia» diversa da quella su cui ha espresso dubbi Renzi, cioè l’amnistia alla quale ha fatto riferimento l’altro giorno il Presidente della Repubblica, citandola nel contesto del problema del sovraffollamento delle carceri, e non legandola affatto (anzi, rispondendo sdegnato a chi la legava) al problema della corruzione di qualche leader politico da amnistiare. Insomma, l’amnistia che era nelle proposte della Leopolda c’entra poco con l’amnistia dell’ultima polemica.
Ci sono tuttavia altri dettagli interessanti che emergono se si fa un po’ di archeologia di questa querelle. Il primo è che Leopolda era concepito come un cantiere aperto (un «work in progress», o un lavoro «wiki», si disse con qualche enfasi). Non un programma, ma una serie di idee aperte a tutti da cui estrarre poi quelle da presentare agli elettori. Il secondo è che il tema amnistia entrò nelle proposte della Leopolda perché appassionava Luigi Zingales, economista, in seguito avvicinatosi a Fare per fermare il declino (prima dello scandalo del falso master di Giannino). Zingales sosteneva che quella misura andasse introdotta assieme ad altre che favorissero una maggior meritocrazia nella mentalità pubblica italiana. E Renzi? Dalle fonti a disposizione non escono fuori sue affermazioni dirette pro amnistia. E qui si viene al terzo punto, che ci riporta all’inizio: al clima di divisioni dentro il Pd di oggi.
Quando Zingales alla Leopolda estrasse l’argomento «amnistia» (sia pure nella forma di cui s’è detto) bastò la sola espressione per far saltar su mezzo Pd. Nico Stumpo, il responsabile della macchina, s’incaricò di domandare: «Ho letto le proposte di Renzi. Vorrei capire bene il punto tredici dove si parla di amnistia per i corrotti». Renzi, che come si sa ha la battuta facile, sulla materia è invece sempre stato cauto e più che riflessivo.
Tra parentesi, quando ad agosto s’iniziò a parlare di un’amnistia per il sovraffollamento delle carceri (l’idea Cancellieri), col sospetto che favorisse il Cavaliere, il Pd fu tutto contro. Anzi, sdegnato. Parlò per la segreteria Davide Zoggia: «Sarebbe un’indecenza». Insomma, occhio: è un po’ come se ognuno si facesse la sua «amnistia», e la usasse poi polemicamente contro i nemici. Del suo partito, ovvio.
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