Pietro Ichino dice:
Come già in occasione del discorso programmatico di Mario Monti nel novembre scorso, anche oggi il Pd non manifesta riserve sul merito della riforma dei licenziamenti: il suo segretario Bersani accetta la proposta formulata in proposito dal segretario della Cisl, ponendo un’unica condizione irrinunciabile – il mantenimento dell’articolo 18 contro le discriminazioni – sulla quale tutti, compreso il Governo, concordano pacificamente. Lo stesso Bersani, però, avverte che questa disponibilità del Pd rischia di essere revocata se la Cgil alla fine non sarà d’accordo.
Nella concezione leninista, il sindacato era la cinghia di trasmissione delle scelte del partito. Dobbiamo forse concludere che ora, invece, a compiere le scelte è la Cgil ed è il Partito democratico a fare da cinghia di trasmissione?
Sono d'accordo con Pietro Ichino
Dall'agosto 2021 saranno pubblicati solo traduzioni della Bibbia ebraica. Per selezionare le altre storie cliccare nell'archivio blog oppure a fondo pagina su Blog più vecchi o più recenti
martedì 28 febbraio 2012
venerdì 24 febbraio 2012
Comunione e Liberazione alla conquista degli altari
Durante la celebrazione della S.Messa in ricordo di Don Giussani Fondatore di CL, il suo successore ha presentato al Cardinale Scola la richiesta di aprire la causa di beatificazione di Don Giussani. CL quindi si allarga. In occasione dell'ultimo recente concistoro, il cardinale Scola, per lungo tempo considerato magna pars di CL, è stato indicato da numerosi vaticanisti come un futuro candidato al soglio pontificio. Ora il fondatore si avvia agli onori dell'altare. E ci arriverà sicuramente ed anche in tempi brevi essendo a tutti noto quel miracolo che si è compiuto con la nascita di CL, del Movimento Popolare e della Compagnia delle Opere. Questo vasto impero economico-spiritual-cristiano sembra essere la garanzia della moderna santità.
Non ho avuto l'occasione di frequentare don Giussani, perché quando lui fondò Gioventù studentesca, nel 1954, io lavoravo già da un anno come metalmeccanico e in seguito non ebbi mai occasione, né mai la cercai, di incontrare CL. In questi giorni, ho letto l'ultima intervista di don Giussani sul Corriere della Sera on-line, giusto per farmi un'idea del suo pensiero. Confesso di non averci capito molto, preferisco la lettura del Vangelo di Marco, il primo che fu scritto.
giovedì 23 febbraio 2012
Il partito della Fiom
Nel PD si annida il partito della Fiom, eminenti rappresentanti sono Stefano Fassina e l'ex ministro Damiano. Costoro non solo rendono la vita difficile a Bersani, non solo si prendono cura di rammentare a chi non condivide le loro opinioni che devono andarsene dal partito, ma, e questo è il comportamento più grave, sono contro il governo Monti, considerato estraneo a quella che loro definiscono "la nostra linea, la nostra storia".
Una linea e una storia che non ha mai vinto le elezioni in Italia.
Credo che il partito della Fiom, se avrà fortuna nel Pd e vincesse il braccio di ferro in atto all'interno del partito, specie sul giudizio che si deve dare del governo Monti, il futuro sia di Bersani che dello stesso PD non sarà molto fortunato. Si rischia di riconsegnare alla destra populista e demagogica il governo del Paese. Perché il populismo e la demagogia sono presenti anche a sinistra e sono uguali a quelli di destra, con l'unica differenza che il loro sbocco politico in Italia è sempre stato di destra.
mercoledì 22 febbraio 2012
Le parti sociali
Nel linguaggio televisivo "le parti sociali", nella discussione con il governo per la riforma del mercato del lavoro sono: Confindustria e Sindacati. Nei giorni scorsi le parti sociali si erano incontrate tra loro nel tentativo di concordare un documento comune da presentare nella trattativa con il governo. La cosa parve un po' strana,essendo gli interessi rappresentati non proprio convergenti, ed ieri infatti la signora Marcegaglia ha messo le cose a posto, in verità un poco brutalmente, tanto da dover correggersi con un comunicato serale. Infatti gli interessi rappresentati negli incontri con il governo si possono riassumere così: La Confindustria difende gli interessi degli imprenditori, e neanche di tutti. I sindacati confederali rappresentano i loro iscritti, specie pubblico impiego e pensionati che sono la quasi totalità dei loro iscritti. Per questo tasso di rappresentatività parziale,sono definiti parti sociali, appunto perché di tutta la società italiana ne rappresentano una parte. Il governo rappresenta tutti gli altri lavoratori che non hanno rappresentanza alcuna e gli interessi generali dell'Italia. Questo è il quadro. Il segretario Bersani ha dichiarato che senza l'accordo con i sindacati il si del PD non è scontato. Errore! Perché l'accordo con i sindacati non si raggiungerà, per la ragione che essi vogliono porre il veto su ogni pur minima modifica alla legislazione vigente. Ed il governo, nell'interesse della società italiana procederà senza accordo. Bersani ha solo da scegliere tra sostenere il governo Monti nell'interesse generale dell'Italia e quindi dimostrare la sua statura di leader o accodarsi alla signora Camusso e quindi alla Fiom,
e riunuciare a svolgere un ruolo di primo piano, in questo caso sarà abbandonato da molti fra quelli che l'hanno sostenuto. Non ci sono alternative.
Per parte mia, io mi iscrivo già sin d'ora al partito del liberal-democratico e solidarista Mario Monti, sia nel caso che continui dopo le elezioni a occuparsi di politica, sia che lo faccia offrendo i suoi servigi ad una coalizione che ne interpreti la linea politica: liberale-democratica e attenta ai problemi sociali del mondo del lavoro e dei giovani.
domenica 19 febbraio 2012
I signori del NO
Uno, leggendo i giornali si chiede:
Com'è possibile riformare il mercato del lavoro, se gli interlocutori del governo dicono no a tutto?
Com'è possibile che il PD diventi un partito democratico e riformista se chi si azzarda a criticare i signori del NO viene invitato, con insulti, a lasciare il partito?
Come si fa a dire che l'art.18 è un principio di civiltà se le aziende continuano a licenziare e chiudono le loro attività? Di quale civiltà si tratta? Della civiltà dei disoccupati?
Come si fa a parlare di uguaglianza, se tutti i lavoratori precari non possono godere degli ammortizzatori sociali previsti dai lavoratori a tempo indeterminato.
Come si fa a difendere tutti quei lavoratori in nero e quelli impiegati nelle aziende con meno di 15 dipendenti? Per i signori del NO è come se nonesistessero.Non li conoscono.
Spero che il governo Monti continui per la sua strada con pazienza,certamente ma, soprattutto, con fermezza. Mi sarebbe molto intollerabile che per l'insipienza dei duri e puri, dei pusillanimi, e dei chiaccheroni sempre in Tv a predicarci le loro ricette a base di NO, finissimo a gambe all'aria economicamente e politicamente di nuovo nelle braccia della destra populista. Così non sia.
venerdì 17 febbraio 2012
Benedetto XVI ai seminaristi di Roma
Oggi Benedetto XVI parlando ai seminaristi di Roma ha commentato il seguente brano della Lettera ai Romani: (12,1-2)
" Vi esorto dunque, fratelli, in nome della misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come un sacrificio vivente, santo, gradito a Dio, come vostro culto spirituale.
Non uniformatevi al mondo presente, ma trasformatevi continuamente nel rinnovamento della vostra coscienza, in modo che possiate discernere che cosa Dio vuole da voi, cos'è buono, a Lui gradito e perfetto".
E' una esortazione che valeva per i romani dei tempi di Paolo che vale anche oggi per tutti i cristiani.
Il testo di tutta la lectio lo si può trovare sull'Osservatore Romano di oggi.
" Vi esorto dunque, fratelli, in nome della misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come un sacrificio vivente, santo, gradito a Dio, come vostro culto spirituale.
Non uniformatevi al mondo presente, ma trasformatevi continuamente nel rinnovamento della vostra coscienza, in modo che possiate discernere che cosa Dio vuole da voi, cos'è buono, a Lui gradito e perfetto".
E' una esortazione che valeva per i romani dei tempi di Paolo che vale anche oggi per tutti i cristiani.
Il testo di tutta la lectio lo si può trovare sull'Osservatore Romano di oggi.
martedì 14 febbraio 2012
Marta e Roberta e le primarie di Genova
Ancora qualche considerazione sulle primarie di Genova.
Marta Vincenzi e Roberta Pinotti le due candidate del PD che sono state battute da Marco Doria nelle primarie di Genova, sono entrambe ex comuniste di lungo corso. Pur avendo più di dieci anni di età di differenza, entrambe hanno cominciato la loro carriera politica nelle file del PCI negli anni '90 e hanno fatto entrambe una buona carriera. Entrambe provengono dal mondo della scuola, quindi diciamo genericamente due intellettuali. Non saprei quale linea politica prevalente interpretassero ora nel PD, se quella più incline a sinistra o più incline al centro. Mi par di capire che soprattutto interpretassero vecchie polemiche, e lotte correntizie all'interno della vecchia guardia degli ex comunisti,altrimenti non si spiega perché candidarsi in due per una coalizione che certamente sarà di centro-sinistra e votarsi quindi alla sconfitta di fronte al terzo candidato sostenuto dal partito di Vendola, ben organizzato e determinato a combattere una partita, insieme ai suoi alleati genericamente di sinistra, praticamente contro gli ex comunisti. Il punto pare a me proprio questo: le candidature del PD quando vengono percepite come la continuazione della vecchia dirigenza ex comunista, non raccolgono il consenso del nuovo elettorato del PD, sia quello più moderato sia quello più di sinistra. Non è così dappertutto,a Genova però mi pare sia accaduto così.
Infine se il PD non se la sentiva di candidare il sindaco uscente, ed io condivido, allora doveva chiedere alla prof. Vincenzi che si mettesse da parte.
Resta poi la questione di quanti vanno a votare alle primarie: Genova ha più di 600.000 abitanti, i 25.000 che hanno votato alle primarie sono un bel numero, ma è pur sempre una quantità che si presta ad essere organizzata e politicamente indirizzata.
A Genova non si tratta di conquistare la maggioranza perché la sinistra l'ha sempre avuta, speriamo che non la si perda!
Marta Vincenzi e Roberta Pinotti le due candidate del PD che sono state battute da Marco Doria nelle primarie di Genova, sono entrambe ex comuniste di lungo corso. Pur avendo più di dieci anni di età di differenza, entrambe hanno cominciato la loro carriera politica nelle file del PCI negli anni '90 e hanno fatto entrambe una buona carriera. Entrambe provengono dal mondo della scuola, quindi diciamo genericamente due intellettuali. Non saprei quale linea politica prevalente interpretassero ora nel PD, se quella più incline a sinistra o più incline al centro. Mi par di capire che soprattutto interpretassero vecchie polemiche, e lotte correntizie all'interno della vecchia guardia degli ex comunisti,altrimenti non si spiega perché candidarsi in due per una coalizione che certamente sarà di centro-sinistra e votarsi quindi alla sconfitta di fronte al terzo candidato sostenuto dal partito di Vendola, ben organizzato e determinato a combattere una partita, insieme ai suoi alleati genericamente di sinistra, praticamente contro gli ex comunisti. Il punto pare a me proprio questo: le candidature del PD quando vengono percepite come la continuazione della vecchia dirigenza ex comunista, non raccolgono il consenso del nuovo elettorato del PD, sia quello più moderato sia quello più di sinistra. Non è così dappertutto,a Genova però mi pare sia accaduto così.
Infine se il PD non se la sentiva di candidare il sindaco uscente, ed io condivido, allora doveva chiedere alla prof. Vincenzi che si mettesse da parte.
Resta poi la questione di quanti vanno a votare alle primarie: Genova ha più di 600.000 abitanti, i 25.000 che hanno votato alle primarie sono un bel numero, ma è pur sempre una quantità che si presta ad essere organizzata e politicamente indirizzata.
A Genova non si tratta di conquistare la maggioranza perché la sinistra l'ha sempre avuta, speriamo che non la si perda!
sabato 11 febbraio 2012
Senatores boni viri... etc. etc.
Ma, il senato della Repubblica, i suoi membri, cioè: I “boni
viri” dell’antico detto latino, che interessi rappresentano? A giudicare dai
2400 emendamenti presentati al decreto sulle liberalizzazioni in discussione in
Commissione Industria al senato, si deve concludere che rappresentino le lobby,
le corporazioni, le categorie professionali, tutti coloro insomma che non
vogliono perdere nemmeno un’unghia dei loro
privilegi. Altro che bene comune e salviamo l’Italia! 700 li ha presentati il
PDL, e ben 600 il Pd e 150 il giacobino Di Pietro. Dicono che alcuni siano
migliorativi, ma presentarne un numero così spropositato, vuol dire massacrare
il decreto del governo. Quando Bersani dice che il PD voterà il decreto senza
rinunciare a far conoscere le proprie idee sulle liberalizzazioni, cosa vuol
dire esattamente? Vuol dire che le idee del PD sono contenute nei 600
emendamenti dei senatori PD? Sarà meglio essere chiari su questo punto, non si
può tenere i piedi in due scarpe o si è con il governo, che già ha fatto opera
di mediazione nel presentare il decreto, oppure si è con i 600 emendamenti,
vale a dire con le lobby, le corporazioni, i privilegi e l’immobilismo della
politica italiana.
viri” dell’antico detto latino, che interessi rappresentano? A giudicare dai
2400 emendamenti presentati al decreto sulle liberalizzazioni in discussione in
Commissione Industria al senato, si deve concludere che rappresentino le lobby,
le corporazioni, le categorie professionali, tutti coloro insomma che non
vogliono perdere nemmeno un’unghia dei loro
privilegi. Altro che bene comune e salviamo l’Italia! 700 li ha presentati il
PDL, e ben 600 il Pd e 150 il giacobino Di Pietro. Dicono che alcuni siano
migliorativi, ma presentarne un numero così spropositato, vuol dire massacrare
il decreto del governo. Quando Bersani dice che il PD voterà il decreto senza
rinunciare a far conoscere le proprie idee sulle liberalizzazioni, cosa vuol
dire esattamente? Vuol dire che le idee del PD sono contenute nei 600
emendamenti dei senatori PD? Sarà meglio essere chiari su questo punto, non si
può tenere i piedi in due scarpe o si è con il governo, che già ha fatto opera
di mediazione nel presentare il decreto, oppure si è con i 600 emendamenti,
vale a dire con le lobby, le corporazioni, i privilegi e l’immobilismo della
politica italiana.
lunedì 6 febbraio 2012
Settimo non rubare
Editoriale telegrafico per la Newsletter n. 186, 6 febbraio 2012 di Pietro Ichino
" Alla notiza che Luigi Lusi, fino a ieri senatore del Pd, ha sottratto in tre anni 13 milioni dai fondi del partito della Margherita, Rosy Bindi ha dichiarato che occorre una nuova legge per il controllo sull’uso dei rimborsi elettorali. Chiedere nuove leggi ogni volta che qualche cosa va storto equivale ad auto-assolverci. Come dire: “Non abbiamo nulla da rimproverarci: è solo questione di migliorare l’ordinamento vigente”. Il divieto di rubare non basta?"
Quando si hanno a disposizione così tanti soldi pubblici, non meritati, non giustificati, molti di più delle spese effettivamente sostenute per la campagna elettorale, dati a partiti ormai inesistenti, qualcosa da cambiare mi pare che ci sia sicuramente, purtroppo, dopo qualche giorno di indignazione verbale, tutto resterà come prima.
" Alla notiza che Luigi Lusi, fino a ieri senatore del Pd, ha sottratto in tre anni 13 milioni dai fondi del partito della Margherita, Rosy Bindi ha dichiarato che occorre una nuova legge per il controllo sull’uso dei rimborsi elettorali. Chiedere nuove leggi ogni volta che qualche cosa va storto equivale ad auto-assolverci. Come dire: “Non abbiamo nulla da rimproverarci: è solo questione di migliorare l’ordinamento vigente”. Il divieto di rubare non basta?"
Quando si hanno a disposizione così tanti soldi pubblici, non meritati, non giustificati, molti di più delle spese effettivamente sostenute per la campagna elettorale, dati a partiti ormai inesistenti, qualcosa da cambiare mi pare che ci sia sicuramente, purtroppo, dopo qualche giorno di indignazione verbale, tutto resterà come prima.
sabato 4 febbraio 2012
Il Vescovo di Brescia in Consiglio comunale
Ieri il vescovo di Brescia, monsignor Monari, è intervenuto ad una seduta
straordinaria del Consiglio comunale, in preparazione della festività dei santi
patroni della città, tenendo una omelia, se così si può dire, sulla Concordia.
Non ho ascoltato il suo intervento né l’ho letto sui giornali, credo sicuramente
che sarà stato apprezzato. Il vescovo Monari è uomo di profonda cultura e sa parlare
ai politici con rara competenza e con grande passione civile.
Eppure io non credo alla concordia nell’attuale stagione politica italiana, perché in
politica la tavola dei “principi condivisi” che dovrebbe sottostare alle
differenze che i problemi contingenti fanno diversi i partiti e le varie forze
sociali che rappresentano la società italiana, sono scritti nella Costituzione
repubblicana e su questa importante e decisiva tavola di valori politici non c’è
una valutazione e un giudizio “concorde” nemmeno tra i partiti che siedono in
consiglio comunale a Brescia.
E’ proprio nei periodi di grande emergenza come l’attuale che la Costituzione offre i
riferimenti necessari per concordare il da farsi anche fra forze politiche di
diversa ispirazione ideologica e politica, come è stato alcune volte anche nel
passato della nostra storia recente.
Tuttavia ci sono partiti politici che non hanno per la loro azione alcun riferimento costituzionale e con quelli la concordia è praticamente impossibile.
Mi riferisco in particolare alla Lega Nord, partito per eccellenza antidemocratico,
anticostituzionale, fautore di una politica secessionista e xenofoba, propugnatore di una legislazione verso gli stranieri che calpesta i fondamentali diritti umani. Per lunghi anni
seminatrice di discordia fra il popolo italiano del nord. Irridendo le
istituzioni dello Stato, della Chiesa e di tutto ciò che ha rappresentato la
storia d’Italia dall’unità ad oggi. A me torna molto difficile immaginare di
concordare qualcosa con la Lega Nord.
Eppure io non credo alla concordia nell’attuale stagione politica italiana, perché in
politica la tavola dei “principi condivisi” che dovrebbe sottostare alle
differenze che i problemi contingenti fanno diversi i partiti e le varie forze
sociali che rappresentano la società italiana, sono scritti nella Costituzione
repubblicana e su questa importante e decisiva tavola di valori politici non c’è
una valutazione e un giudizio “concorde” nemmeno tra i partiti che siedono in
consiglio comunale a Brescia.
E’ proprio nei periodi di grande emergenza come l’attuale che la Costituzione offre i
riferimenti necessari per concordare il da farsi anche fra forze politiche di
diversa ispirazione ideologica e politica, come è stato alcune volte anche nel
passato della nostra storia recente.
Tuttavia ci sono partiti politici che non hanno per la loro azione alcun riferimento costituzionale e con quelli la concordia è praticamente impossibile.
Mi riferisco in particolare alla Lega Nord, partito per eccellenza antidemocratico,
anticostituzionale, fautore di una politica secessionista e xenofoba, propugnatore di una legislazione verso gli stranieri che calpesta i fondamentali diritti umani. Per lunghi anni
seminatrice di discordia fra il popolo italiano del nord. Irridendo le
istituzioni dello Stato, della Chiesa e di tutto ciò che ha rappresentato la
storia d’Italia dall’unità ad oggi. A me torna molto difficile immaginare di
concordare qualcosa con la Lega Nord.
I critici del governo Monti
Stefano Fassina è un dirigente nazionale del PD e si occupa di problemi economici.
Non passa giorno senza che egli, forte del suo incarico, manifesti le sue critiche al governo Monti, alle iniziative e alle proposte del premier o dei suoi ministri, con particolare accanimento
alle posizioni della ministra Elsa Fornero in materia di riforma del mercato del lavoro. La linea politica di Fassina è di solito allineata a quella di Vendola e di Di Pietro: noti oppositori del governo Monti.
Ora nessuno mette in discussione la legittimità che nel Pd ci siano posizioni dialettiche in materia di politica economica, il PD è un grande partito, diviso e dialettico su molti aspetti della politica italiana, eppure il segretario Bersani, nei confronti del governo Monti, pare a me che egli appoggi senza condizioni la politica riformatrice di questo governo. In questo allineato fedelmente alle esortazioni del Presidente Napolitano. E con lui mi pare che sia schierata la maggioranza del PD. Tuttavia questa ambivalenza ai vertici del partito, dalla quale si coglie con chiarezza che una parte dei dirigenti è soprattutto attenta a non urtare la suscettibilità della cgil, non giova ad accrescere il consenso dell’elettorato italiano intorno al PD. Infatti la mia opinione, ovviamente discutibile, è che le forze politiche che avranno appoggiato senza tentennamenti la politica riformatrice del governo Monti, sacrificando anche talune aspettative e chiusure conservatrici del tradizionale elettorato di sinistra, saranno favorite nella competizione elettorale del 2013 e si accrediteranno come capaci di governare l’Italia per i prossimi anni. Diversamente il destino del Pd sarà quello di restare per altri decenni una forza politica, importante, ma, solo di opposizione.
Non passa giorno senza che egli, forte del suo incarico, manifesti le sue critiche al governo Monti, alle iniziative e alle proposte del premier o dei suoi ministri, con particolare accanimento
alle posizioni della ministra Elsa Fornero in materia di riforma del mercato del lavoro. La linea politica di Fassina è di solito allineata a quella di Vendola e di Di Pietro: noti oppositori del governo Monti.
Ora nessuno mette in discussione la legittimità che nel Pd ci siano posizioni dialettiche in materia di politica economica, il PD è un grande partito, diviso e dialettico su molti aspetti della politica italiana, eppure il segretario Bersani, nei confronti del governo Monti, pare a me che egli appoggi senza condizioni la politica riformatrice di questo governo. In questo allineato fedelmente alle esortazioni del Presidente Napolitano. E con lui mi pare che sia schierata la maggioranza del PD. Tuttavia questa ambivalenza ai vertici del partito, dalla quale si coglie con chiarezza che una parte dei dirigenti è soprattutto attenta a non urtare la suscettibilità della cgil, non giova ad accrescere il consenso dell’elettorato italiano intorno al PD. Infatti la mia opinione, ovviamente discutibile, è che le forze politiche che avranno appoggiato senza tentennamenti la politica riformatrice del governo Monti, sacrificando anche talune aspettative e chiusure conservatrici del tradizionale elettorato di sinistra, saranno favorite nella competizione elettorale del 2013 e si accrediteranno come capaci di governare l’Italia per i prossimi anni. Diversamente il destino del Pd sarà quello di restare per altri decenni una forza politica, importante, ma, solo di opposizione.
mercoledì 1 febbraio 2012
Opposizioni e ribellismo
L'analisi di Patrizia Rettori di Libertà & Giustizia
Intorno a Monti e al suo governo si vanno coagulando due opposizioni diverse che, schematizzando, potremmo definire di destra l’una, e di sinistra l’altra. Entrambe crescono fuori dal perimetro parlamentare, ma mettono in fibrillazione i partiti che, in varie misure, si vedono costretti a rincorrerle.A destra cresce l’insofferenza per la nuova moralità fiscale e per la minaccia ai privilegi delle corporazioni. Questa insofferenza viene apertamente cavalcata dalla Lega e, più sommessamente, vellicata dal Pdl, che spera di intestarsela indicando una nuova bandiera da sventolare: l’abolizione dell’articolo 18.A sinistra monta la protesta di chi sperava che, liquidato Berlusconi, saremmo miracolosamente entrati in una nuova età dell’oro. Di qui la sollevazione contro gli algidi tecnocrati, affamatori di giovani, pensionati e contribuenti onesti. Per Nichi Vendola, che non ha il problema di votare in Parlamento, è stato facile pretenderne la rappresentanza, subito seguito da Di Pietro, che sa bene di non essere determinante per la maggioranza. Il Pd invece soffre: non può ritirare la fiducia al governo perché provocherebbe la crisi e con ciò spingerebbe il paese nel baratro, ma non può nemmeno schiacciarsi su Monti rinunciando alla propria identità.Quanto al presidente del Consiglio, è costretto a barcamenarsi ascoltando sia gli uni che gli altri per cercare di pilotare l’Italia fuori dalle secche economiche senza incagliarsi su quelle parlamentari. E’ difficile dire che cosa potrebbe fare davvero se fosse libero da tutti questi vincoli interni. Ai quali, peraltro, vanno aggiunti quelli internazionali. Tutti possono leggere sui giornali le analisi di economisti di fama mondiale, che spiegano come le ricette puramente restrittive non siano in grado di portarci fuori dalla crisi ma, al contrario, possano aggravarla. Ma i governanti europei sembrano impermeabili a quei ragionamenti e anche con loro il governo italiano deve fare i conti.Questa, dunque, è la realtà, e se si parte da qui bisogna dire che Monti sta facendo del suo meglio. Ha riportato il paese sulla giusta rotta e ha riconquistato un ruolo di prestigio sulla scena internazionale. Tutti i progressi fatti in campo europeo portano la sua firma e perfino Obama gli chiede consiglio. Il che, però, accresce i rischi interni. Si può solo immaginare con quale spirito Berlusconi osservi la scena, mentre i suoi nodi giudiziari vengono al pettine e il suo dominio televisivo viene messo in discussione.Se esita a staccare la spina è solo perché non ha ancora trovato la giusta parola d’ordine, quella capace di rimobilitare il suo elettorato facendogli dimenticare i passati disastri. Se andasse alle elezioni oggi, il Cavaliere perderebbe, ed è questo che lo trattiene, ma se potesse tornare a vincere non ci penserebbe due volte. E vengono i brividi ad immaginare l’ululato di esecrazione che si leverebbe dall’intero pianeta se l’Italia dovesse ritornare a mostrarsi con la faccia di Berlusconi.Spetta ai partiti, quelli di sinistra in primo luogo, scongiurare questo finale da film horror. E chissà se ne saranno capaci. Perché la congiuntura internazionale richiede una rielaborazione a tutto campo: di modelli istituzionali e politici, di teorie economiche, addirittura di forme-partito e di forme-sindacato. Cose che appaiono oltre la possibilità di azione per forze come Pd, Idv e Sel, tuttora impegnate soprattutto a sgambettarsi a vicenda. Ma che pure devono essere affrontate perché il ribellismo che sta crescendo nelle piazze non è un fenomeno inedito in Italia. E non ci ha mai portato bene.
Intorno a Monti e al suo governo si vanno coagulando due opposizioni diverse che, schematizzando, potremmo definire di destra l’una, e di sinistra l’altra. Entrambe crescono fuori dal perimetro parlamentare, ma mettono in fibrillazione i partiti che, in varie misure, si vedono costretti a rincorrerle.A destra cresce l’insofferenza per la nuova moralità fiscale e per la minaccia ai privilegi delle corporazioni. Questa insofferenza viene apertamente cavalcata dalla Lega e, più sommessamente, vellicata dal Pdl, che spera di intestarsela indicando una nuova bandiera da sventolare: l’abolizione dell’articolo 18.A sinistra monta la protesta di chi sperava che, liquidato Berlusconi, saremmo miracolosamente entrati in una nuova età dell’oro. Di qui la sollevazione contro gli algidi tecnocrati, affamatori di giovani, pensionati e contribuenti onesti. Per Nichi Vendola, che non ha il problema di votare in Parlamento, è stato facile pretenderne la rappresentanza, subito seguito da Di Pietro, che sa bene di non essere determinante per la maggioranza. Il Pd invece soffre: non può ritirare la fiducia al governo perché provocherebbe la crisi e con ciò spingerebbe il paese nel baratro, ma non può nemmeno schiacciarsi su Monti rinunciando alla propria identità.Quanto al presidente del Consiglio, è costretto a barcamenarsi ascoltando sia gli uni che gli altri per cercare di pilotare l’Italia fuori dalle secche economiche senza incagliarsi su quelle parlamentari. E’ difficile dire che cosa potrebbe fare davvero se fosse libero da tutti questi vincoli interni. Ai quali, peraltro, vanno aggiunti quelli internazionali. Tutti possono leggere sui giornali le analisi di economisti di fama mondiale, che spiegano come le ricette puramente restrittive non siano in grado di portarci fuori dalla crisi ma, al contrario, possano aggravarla. Ma i governanti europei sembrano impermeabili a quei ragionamenti e anche con loro il governo italiano deve fare i conti.Questa, dunque, è la realtà, e se si parte da qui bisogna dire che Monti sta facendo del suo meglio. Ha riportato il paese sulla giusta rotta e ha riconquistato un ruolo di prestigio sulla scena internazionale. Tutti i progressi fatti in campo europeo portano la sua firma e perfino Obama gli chiede consiglio. Il che, però, accresce i rischi interni. Si può solo immaginare con quale spirito Berlusconi osservi la scena, mentre i suoi nodi giudiziari vengono al pettine e il suo dominio televisivo viene messo in discussione.Se esita a staccare la spina è solo perché non ha ancora trovato la giusta parola d’ordine, quella capace di rimobilitare il suo elettorato facendogli dimenticare i passati disastri. Se andasse alle elezioni oggi, il Cavaliere perderebbe, ed è questo che lo trattiene, ma se potesse tornare a vincere non ci penserebbe due volte. E vengono i brividi ad immaginare l’ululato di esecrazione che si leverebbe dall’intero pianeta se l’Italia dovesse ritornare a mostrarsi con la faccia di Berlusconi.Spetta ai partiti, quelli di sinistra in primo luogo, scongiurare questo finale da film horror. E chissà se ne saranno capaci. Perché la congiuntura internazionale richiede una rielaborazione a tutto campo: di modelli istituzionali e politici, di teorie economiche, addirittura di forme-partito e di forme-sindacato. Cose che appaiono oltre la possibilità di azione per forze come Pd, Idv e Sel, tuttora impegnate soprattutto a sgambettarsi a vicenda. Ma che pure devono essere affrontate perché il ribellismo che sta crescendo nelle piazze non è un fenomeno inedito in Italia. E non ci ha mai portato bene.
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