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martedì 31 gennaio 2012
Epistolario Scalfari - Camusso
Domenica scorsa su Repubblica Eugenio Scalfari aveva ricordato un'intervista di Luciano Lama del 1978 nella quale il leader sindacale anteponeva l'interesse generale dell'Italia al legittimo interesse del sindacato, invitando quindi la signora Camusso ad avere lo stesso comportamento nell'attuale contingenza politica. La signora Camusso ha risposto lunedì,dicendo che allora erano altri tempi... E oggi Scalfari risponde alla cara Susanna che i tempi sono assai peggiori di allora, solo che il sindacato non ha più l'intelligenza politica di capirlo.
Su Repubblica on-line di oggi si possono leggere tutti e tre gli articoli. E' una lettura molto istruttiva e molto interessante che consiglio vivamente a tutti coloro che vogliono guardare a quel che accade oggi in Italia senza i paraocchi dell'ideologia.
Le mie preferenze:
Ieri sera ho ascoltato la ministra signora Elsa Fornero nella trasmissione di Lilli Gruber, e mi sono convinto "vieppiù" che la ministra è una donna preparata, tosta e capace e gode quindi della mia stima e fiducia.
Vedendo in tv le manifestazioni di protesta degli studenti universitari di Bologna contro il presidente Napolitano, mi sono ricordato di una vecchia battuta di Benedetto Croce che si citava quando ero giovane anch'io. Diceva più o meno così:
"I giovani hanno un solo problema, quello di diventare adulti". La mia generazione ha avuto la fortuna di diventare adulta molto presto.
venerdì 27 gennaio 2012
Ricordando la Shoah
Noi oggi dobbiamo ricordare la Shoah perché l'antisemitismo che l'ha resa possibile non è del tutto scomparso né in Italia né in Europa. Oggi due sono le forme subdole e pericolose che alimentano l'antisemitismo: il negazionismo e l'antisionismo. Il negazionismo non è solo frutto della propaganda politica dei paesi mussulmani ostili allo stato d'Israele, sedicenti storici del negazionismo sono presenti anche in Europa e in Italia e con il venir meno delle testimonianze dei sopravvissuti, la loro malafede e arroganza diventano sempre più sfacciate. Il ricordo è l'unico antidoto al loro antisemitismo. L'altra faccia è rappresentata dall' antisionismo inteso come giudizio negativo circa la politica dello stato d'Israele nei confronti dei Palestinesi e dei vicini paesi arabi. Ora, criticare la politica dello stato d'Israele è ovviamente del tutto legittimo, ma tacere, come spesso si fa anche in Italia, circa l'odio che viene alimentato dalla propaganda palestinese e araba che ha per obiettivo l'annientamento dello Stato d'Israele e la diffusione di un sentimento di odio verso gli ebrei, ebbene così inteso l'antisionismo è solo il paravento per mantenere vivo il sentimento antiebraico ancora vivo in molte regioni europee. E che in Italia
sfocia ogni tanto in manifestazioni di oltraggio e di profanazione dei luoghi cari al popolo ebraico come le sinagoghe o i cimiteri.
Ricordiamo quindi la Shoah, "ricordiamo il passato e confidiamo nel futuro"
giovedì 26 gennaio 2012
Don Rodrigo e il Griso
L'Italia anarcoide e corporativa
mercoledì 25 gennaio 2012
lunedì 23 gennaio 2012
La signora Cancellieri intervenga
La nostra Susanna del Pilar
Conciliare queste posizioni sarà molto arduo.
Oggi sono iniziati gli incontri del governo con le parti sociali proprio per discutere della riforma del lavoro. La nostra Susanna del Pilar ha pronunciato il suo primo no. I cinque punti presentati dalla ministra Elsa Fornero non gli vanno bene. Il giacobino Bonanni, per farsi perdonare i suoi trascorsi sacconiani, gli va a ruota. Si, perché a condurre le danze in questi incontri sarà sempre lei la "nostra Susanna del Pilar"; lei si è un vero pilar nel senso che non vuole concludere nessun accordo con il governo Monti, questa è la politica della Fiom e questa sarà la posizione della Camusso e questa è la mia previsione. Preferirei sbagliarmi, ma, credo che finirà così e il governo dovrà prendere le sue decisioni senza l'accordo coi burocrati sindacali.
venerdì 20 gennaio 2012
La nuova deriva eversiva
giovedì 19 gennaio 2012
I tre moschettieri
giovedì 12 gennaio 2012
Maroni e Tonino Di Pietro
E a proposito della Lega, il Pd prenda atto, anche qui, che in quel partito comanda sempre Bossi. Roberto Maroni così sopravvalutato per i suoi atteggiamenti apparentemente in contrasto con Bossi, altro non è che un povero coniglio e non diventerà mai un vero leader politico, cioè un capo. Del resto è stato, da ministro, l'ispiratore e il propugnatore di una legislazione sull'immigrazione semplicemente xenofoba e razzista, calpestando con disinvolta noncuranza principi fondmentali della nostra millenaria civiltà del diritto. Al solo parlare di cittadinanza italiana a tutti i nati e cresciuti in Italia lui per primo e tutti i suoi seguaci si stracciano le vesti come fosse una mostruosità, mentre è semplicemente un diritto che già tutti noi possediamo per il solo fatto di essere nati qui, senza nessun altro merito.
Per chiudere questa giornata vorrei ricordare a Bersani che oggi il discrimine più chiaro per definire l'identità riformista e democratica del Pd passa dal sostegno incondizionato al governo Monti. Senza lasciarsi fuorviare dai lamenti di nessuna sirena sia che provengano dal Parlamento da qualche corporazione o dal sindacato. Solo chi avrà sostenuto con decisione e senza tentennamenti la politica del governo Monti alla fine avrà titoli e meriti per candidarsi a governare l'Italia del futuro.
venerdì 6 gennaio 2012
I Cattolici democratici
Pubblicato dal “Corriere della Sera” del 4 gennaio 2012 a pagina 33 con il titolo
Democristiani, non clericali
Aldo Moro affermò l’autonomia del suo partito. Una politica indipendente dalla gerarchia cattolica
Tre sono le genialità di cui Aldo Moro (1916-1978) fu protagonista nei suoi giorni e nelle sue opere: il metodo “inclusivo e avvolgente” (definizione dello storico Giovanni Tassani) che gli permise di portare l’intera Dc prima all’incontro con i socialisti e poi a quello con i comunisti; la rivendicazione dell’autonomia politica dei cattolici dalle indicazioni degli uomini di Chiesa; l’avvertenza dei “tempi nuovi” seguiti al ’68 che si impegnò a interpretare nel loro lato positivo e che dieci anni dopo l’avrebbero travolto con il loro lato oscuro. Tutte e tre queste imprese sono ben documentate nell’antologia di testi morotei che ora viene pubblicata con il titolo La democrazia incompiuta. Essendo la prima e l’ultima delle “genialità” di Moro meglio note e più facilmente comprensibili, sarà bene fare un po’ di luce su quella di mezzo – la rivendicazione dell’autonomia dei laici cattolici – che allora fu gran fatto ma che oggi può apparire incomprensibile a chi non l’ebbe a vivere.
Moro succede a Fanfani come segretario della Dc nel febbraio del 1959 e fa suo l’impegno del predecessore a portare il partito dei cattolici all’alleanza con i socialisti. La gerarchia che si era opposta all’irruento Fanfani si oppone anche al prudente Moro ed ecco come suona il terzo dei “punti fermi” attribuiti al cardinale Siri e apparsi su L’Osservatore romano del 18 maggio 1960: “Sul terreno politico può presentarsi il problema di una collaborazione con quelli che non ammettono principi religiosi: spetta allora all’autorità ecclesiastica e non all’arbitrio dei singoli fedeli giudicare della liceità morale di tale collaborazione, e un conflitto tra quel giudizio e l’opinione dei fedeli stessi è inconcepibile in una coscienza veramente cristiana”.
Tre anni più tardi Giovanni XXIII modificherà questa posizione, scrivendo nella Pacem in terris (1963), a proposito della collaborazione con i non credenti, che la “decisione spetta in primo luogo a coloro che vivono e operano nei settori specifici della convivenza in cui quei problemi si pongono”, e cioè ai laici impegnati in politica. Ma nel 1960 questa “autonomia” è rivendicata solo da una parte minoritaria della Dc.
All’intimazione del quotidiano vaticano più che attraverso i discorsi Moro risponde con scelte politiche graduali ma chiare, favorendo la formazione di giunte di centro-sinistra nelle amministrazioni locali e moltiplicando le occasioni di parziali convergenze nei lavori parlamentari. Nel partito il monito ecclesiastico viene echeggiato dagli oppositori dell’apertura a sinistra, ma il segretario tiene ferma la sua linea anche quando, con gesto unico nella storia dei rapporti tra Dc ed episcopato, il presidente della Cei Giuseppe Siri lo scongiura con una lettera personale (ma pubblicata dal Quotidiano il 2 marzo 1961) di desistere dalla strada intrapresa: “In nome di Dio, la prego di riflettere bene sulla sua responsabilità e sulle conseguenze di quanto sta compiendo”.
Fa colpo una risposta data da Moro a Eugenio Scalfari che gli chiede – durante una tribuna televisiva del gennaio del 1962, alla vigilia del congresso di Napoli della Dc – se il partito andrebbe comunque al centro-sinistra in presenza di un veto ecclesiastico: “Io devo ridire”, risponde Moro con insolito vigore, “che la Dc non è un partito cattolico nel senso che sia un’espressione politica della gerarchia ecclesiastica” e che “l’autorità del partito è stata rivendicata e credo che sarà confermata nel prossimo congresso”.
“L’autonomia è la nostra assunzione di responsabilità, è il nostro correre da soli il nostro rischio, è il nostro modo personale di rendere un servizio e di dare, se è possibile, una testimonianza di valori cristiani nella vita sociale” afferma poco dopo Moro ad apertura del congresso di Napoli.
Undici anni più tardi, in un contesto di galoppante secolarizzazione, intervenendo al XII congresso della Dc Moro afferma che il richiamo all’esperienza cristiana dev’essere avvertito non come esecuzione di indicazioni ecclesiastiche ma come “principio di non appagamento e di mutamento dell’esistente”. E nel 1974, all’indomani del referendum sul divorzio, avrà parole severe contro i promotori cattolici di quella consultazione che hanno mancato di “discrezione e prudenza” nel rivendicare la protezione della legge per “valori ideali” che in una società “in travolgente evoluzione” vanno piuttosto difesi “nel vivo, aperto e disponibile tessuto della vita sociale”.
Che cosa intenda Moro per “principio di non appagamento” e di partecipazione dei cattolici al “vivo” dibattito sociale lo si può vedere in questo appello rivolto al suo partito nel novembre 1969 perché non resti sordo alla rivolta dei giovani e alle rivendicazioni operaie: “Tempi nuovi si annunciano ed avanzano in fretta come non mai”, caratterizzati dal desiderio di “affermazione di ogni persona, in ogni condizione sociale, in ogni luogo del nostro paese, in ogni lontana e sconosciuta regione del mondo” e dall’emergere di “una legge di solidarietà, di eguaglianza, di rispetto di gran lunga più seria e cogente che non sia mai apparsa nel corso della storia”.
Si sente qui l’inquietudine di un uomo che si sforzava di comprendere la contestazione giovanile – guardando anche ai propri figli – e che sperava di convincere la cattolicità italiana ad andare a una “terza fase” di impegno politico, dopo quella del centrismo e quella del centrosinistra. Una terza fase che prenderà la forma del “compromesso storico”, che a Moro costerà la vita.
Il dibattito sull’autonomia del laicato dei decenni ’50 e ‘60 costituì il principale contributo dei cattolici italiani alla preparazione delle decisioni conciliari. Analogamente le scelte di progressivo disimpegno dalla politica del nostro paese operate dai Papi Roncalli e Montini risultano pienamente comprensibili soltanto se si tiene presente la sollecitazione che ad esse veniva dalla richiesta di autonomia di cui erano portatori i cattolici democratici. E Moro fu il loro portavoce più autorevole.
Luigi Accattoli