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giovedì 29 dicembre 2011
Auguri e buon anno.
Che Tonino Di Pietro non brillasse per acume e intelligenza nello scegliere i candidati della sua lista è cosa che si è palesata abbastanza presto, almeno tre o quattro sono passati per opportunismo a sostenere Berlusconi, ultimo il famigerato Scilipoti. Ma, che Tonino non sapesse cogliere la differenza politica che esiste tra il precedente governo Berlusconi e l'attuale governo Monti, differenza macroscopica, fa pensare di Tonino che sia o in malafede o un cretino. Qualcuno pensa che sia entrambe le cose. Nei suoi commenti alla conferenza stampa di oggi, egli ha paragonato le dichiarazioni di Monti alle smargiassate e alle balle grossolane di Berlusconi, ditemi se possono essere paragonate, solo Di Pietro e Bossi le possono trovare uguali essendo entrambi e con essi i loro seguaci, o in malafede o cretini.
Certo che abbiamo in parlamento una quantità di esemplari, di varia umanità, veramente da far cadere le braccia. Se penso a personaggi come Calderoli, Bossi, Scilipoti, La Brambilla, Borghezio e tutta la fauna allevata nelle file leghiste e berlusconiane, devo innalzare un inno di lode al Presidente Napolitano che lo ha scelto e al governo Monti, perché al di là di quel che riuscirà a fare, almeno una cosa ci ha regalato in questo fine 2011: l'orgoglio e la dignità di essere italiani e persone per bene e ci fa sentire ancora cittadini di un'Europa migliore.
sabato 24 dicembre 2011
Piazza Montecitorio
Perché mai Bonanni e Angeletti che hanno sostenuto con alacre fervore fino a ieri il governo Berlusconi, oggi sono così accaniti nell'avversare le proposte del governo Monti? La ragione principale sta nel fatto che il governo Monti ha negato ai due il diritto di veto sulle politiche nazionali che interessano tutti gli italiani e ha rimesso al Parlamento le proprie scelte di politica economica, e il fatto per i due è imperdonabile.
Anche la signora Camusso non è da meno, purtroppo lei è solo il riflesso condizionato della Fiom, non riesce a comprendere che in parlamento non c'è una maggioranza di sinistra. La Fiom si sa ha qualche problema nel rapportarsi al potere, qualunque esso sia: democratico, tirannico, oligarchico di destra o di sinistra, loro sono comunque contro. Evviva così hanno sempre ragione!
Non mi va di scrivere di queste cose proprio a Natale e quindi smetto, porgo i miei auguri ai pochi che mi leggono e un particolare ringraziamento al Presidente Napolitano.
PS: Ai tre piacerebbe sicuramente essere dentro Montecitorio, in compagnia della Lega e dell'IDV, a fare sfoggio della loro eloquenza antigovernativa. Per ora è meglio che stiano fuori nella piazza!
giovedì 22 dicembre 2011
Il prode Anselmo cislino
In effetti il governo Monti è stato troppo debole con i sindacati i quali, secondo l'inchiesta condotta nel 2008 da Stefano Livadiotti, giornalista dell'Espresso, pubblicata da Bompiani col titolo: " L'altra casta. Privilegi.Carriere. Misfatti e fatturati da multinazionale", così sono descritti nel risvolto di copertina:
"I sindacati sono oggi nel pieno di una profonda crisi di legittimità, che rischia di cancellare anche i loro meriti storici. L'autore sostiene che lo strapotere e l'invadenza delle tre grandi centrali confederali, e le sempre più scoperte ambizioni politiche dei loro leader, hanno prodotto nel paese un senso di rigetto. Lo documentano i più recenti sondaggi d'opinione: solo un italiano su venti si sente pienamente rappresentato dalle sigle sindacali e meno di uno su dieci dichiara di averne fiducia. L'immagine del sindacato come di un soggetto responsabile, capace di interpretare gli interessi generali, si è dunque dissolta. E ha lasciato il posto a quella di una casta iperburocratizzata e autoreferenziale che ha perso via via il contatto con il paese reale, quello delle buste paga sempre più leggere e delle fabbriche dove si muore troppo spesso. Un apparato che, in nome di una concertazione degenerata in diritto di veto, pretende di avere l'ultima parola sempre e su ogni cosa. Che si presenta come il legittimo rappresentante di tutti i lavoratori. Ma bada in realtà solo agli interessi dei suoi iscritti, che valgono ormai meno di un quarto dell'intero sistema produttivo nazionale. E perciò si mette puntualmente di traverso a qualunque riforma in grado di mettere in discussione uno status quo fatto di privilegi".
Ora qualche numero fornito dal sito nazionale della Cisl.
Gli iscritti nel 2010 (non ci sono dati più recenti) sono, fra i lavoratori attivi, cioè esclusi i pensionati in totale 2.284.045 più della metà dei quali appartengono al Pubblico impiego o al parastato ( Elettrici, poste ecc.)
Dunque questo sindacato rappresenta una modesta quantità di lavoratori e di cittadini e quando pretende di essere consultato e pretende dal governo di concertare con lui la politica governativa che influenzerà la vita di 60 milioni di italiani, avanza una pretesa assolutamente inaccettabile. Sono queste pretese che minacciano la coesione sociale e la democrazia, non il governo Monti.
Il discorso vale naturalmente anche per il signor Angelletti, degno compare di Bonanni e anche per la signora Camusso, la quale poveretta deve immaginare e raffigurarsi, ogniqualvolta apre bocca, cosa dirà la Fiom. Forse è questa sua malcelata preoccupazione che la costringe ad avere sempre uno sguardo corrucciato e quella faccia da rappresentante dell'umana infelicità.
mercoledì 21 dicembre 2011
Chi tocca i fili muore!
Camusso: l'articolo 18 non si tocca e di rimando il segretario del Pd Bersani: Siamo matti a toccare l'articolo 18. Ha ragione Michele Serra che nel difendere anche lui l'intangibilità dell'art. 18, dice che è l'ultimo straccio di bandiera rimasto alla sinistra. Quand'è così mettiamoci il cuore in pace, le riforme in Italia la sinistra non le farà mai.
lunedì 19 dicembre 2011
Gli stranieri e i nativi
Come si diventa reazionari
Ancora due parole per i leghisti. Sono stati al governo fino a ieri, hanno votato tutte le porcate del governo ed ora vogliono boicottare le tasse che loro stessi avevano proposto. Se i sindaci leghisti si rifiutano di far pagare l'IMU vanno messi in galera, non c'è altra maniera per salvare l'Italia. So bene che ciò che scrivo non lo leggerà nessuno, scrivo solo per me stesso per fissare alcuni punti fermi e non perdere la speranza che si possa ancora fare qualcosa di ragionevole in questo nostro disgraziato Paese. Sono molto pessimista.
giovedì 13 ottobre 2011
Il coraggio dei don Abbondio governativi
domenica 9 ottobre 2011
Ancora su Mino Martinazzoli
E’ trascorso poco più di un mese dalla morte di Mino Martinazzoli, pensando a lui e agli ultimi anni della sua vita, durante i quali non si è mai risparmiato e non si è mai negato alle occasioni di far conoscere il suo pensiero sui più svariati argomenti che gli venivano sottoposti in pubblici dibattiti, sento l’obbligo di ricordare il tratto di fondo del suo modo di essere “uomo di cultura”. Credo che Mino, sin da quando l’ho ascoltato le prime volte, abbia coltivato fino ai suoi ultimi giorni, il gusto della “cultura alta” propria della tradizione umanistica occidentale. La tradizione giudaico-cristiana e ellenistica che lui apprese sicuramente nel Liceo e nell’Università italiana, da lui frequentati prima dell’avvento della cultura di massa, una tradizione severa, rigorosa, elitaria se si vuole, ma mai di basso profilo e che egli coltivò, io credo, per tutto il tempo del suo impegno politico e professionale, dà ragione del fascino che esercitava il suo linguaggio, la cura nella scelta delle parole, la persuasione dei suoi ragionamenti, in breve egli è stato uno degli ultimi intellettuali di una tradizione classica ormai tramontata. Chi gli è stato amico, coloro che più di me l’hanno frequentato avranno avuto modo anche di cogliere dal vivo, nel momento stesso in cui si formavano, le sue idee e i suoi giudizi sugli uomini, sulla storia sulle vicende umane. Coloro che l’hanno ascoltato solo in pubblici dibattiti coglievano immediatamente lo spessore della sua classicità attraverso il quale erano filtrate le sue riflessioni, i suoi giudizi, le sue talvolta feroci stilettate. Egli, diede il meglio di sé con l’esempio di uomo politico colto, attento e sensibile ai cambiamenti, rigoroso nei giudizi, severo con se stesso prima che con gli altri, di grande onestà intellettuale e morale, in una parola un grande intellettuale. Il superstite di una tradizione culturale classica ed elitaria della quale non si può che rimpiangere il tramonto e forse la fine. E’ questo il Martinazzoli che viene celebrato più volentieri .
domenica 4 settembre 2011
Addio Mino
venerdì 2 settembre 2011
I deputati del PD
I deputati del PD
Il gruppo dei parlamentari PD alla Camera è cosi composto:
81 sono alla loro prima legislatura, la XVI della storia della Repubblica. Ci sono molte donne e sono tutti illustri sconosciuti alle cronache politiche dei giornali e delle TV nazionali.
70 sono alla seconda legislatura cioè sono stati “nominati” sia nella XV che nella XVI legislatura.
Sono quindi ben 151 i deputati che siedono alla Camera grazie alla Legge Calderoli che come è noto non prevede voti di preferenza e vengono eletti coloro che nelle liste di partito occupano i posti migliori. Per tale ragione è più giusto definirli nominati poiché nessuno conosce il loro peso elettorale nei collegi dove furono candidati, si conosce invece il loro grado di fedeltà nei confronti di chi predispone le liste.
34 sono alla terza legislatura, furono quindi eletti anche nella XIV legislatura vigente la legge Mattarella. (Fra cui Bersani, Letta e Franceschini)
13 sono alla quarta legislatura, per due volte furono eletti con la legge Mattarella, di questo gruppo si può dire che sia stato confermato per il peso elettorale dimostrato nelle elezioni con sistema uninominale. Pur tenendo conto della quota proporzionale che non prevedeva preferenza.
5 sono alla quinta legislatura ( fra cui Bindi Castagnetti Melandri e Soro)
2 alla sesta legislatura ( Turco e Veltroni) costoro parteciparono anche alle elezioni vigente il sistema proporzionale.
1 alla settima legislatura (D’Alema)
Questi veterani del parlamento, specie D’Alema, e Veltroni per l’ex PCI Bindi e Castagnetti per gli ex Popolari sono i capicorrente del PD.
Difficile che da un gruppo parlamentare che non ha mai fatto delle vere campagne elettorali, eccetto i pochi veterani, possa uscire una classe dirigente con le capacità di leader o comunque capace di guidare e interpretare gli elettori del PD. Tenuto conto anche della quasi inesistenza del partito come strumento di organizzazione e di formazione politica di nuova classe dirigente, l’attenzione principale di un tale gruppo parlamentare sarà quello di non disattendere i desideri e i disegni politici di chi li ha messi in lista nel posto giusto.
giovedì 1 settembre 2011
A proposito di referendum
Questo solo per ricordare a quelli del PD che sono entusiasti del mattarellum che questo sistema è sicuramente meglio del porcellum, soprattutto perché non prevede il premio di maggioranza vero scandalo dell'attuale legge, ma che tuttavia presenta anch'esso alcune problematiche non di poco conto. Infatti sarebbe interessante sapere se poi si partecipa ad una coalizione di partiti e quale, o se si vuole che il Pd corra da solo come fece la Lega nel 1996. Perché nel caso di una coalizione, la scelta del candidato nei singoli collegi, ritorna nuovamente in capo alle segreterie nazionali.
Credo che la prudenza di Bersani di tenersi disponibile per una soluzione parlamentare sia da condividere.
giovedì 25 agosto 2011
Una preziosa lezione di economia politica
sabato 20 agosto 2011
Evasione e favori fiscali in Italia
domenica 14 agosto 2011
Abolite le principali feste civili dell'Italia repubblicana
giovedì 11 agosto 2011
Una biografia esemplare
Io nacqui nel 1939 lo stesso anno nel quale Hitler scatenò la seconda guerra mondiale, primo di cinque figli ebbi la mia prima educazione nella strada e all’oratorio. Fui chierichetto per lungo tempo, tifai per Fausto Coppi, cominciai a lavorare a quattordici anni. Desiderai di possedere una bicicletta da corsa e di suonare la fisarmonica, ma non avevo i soldi per soddisfarli. Quando li ebbi comprai la Vespa. Feci la naja negli alpini, poi comprai la Fiat Cinquecento. Quando mi iscrissi all’Università come lavoratore studente, i figli rivoluzionari della borghesia, cominciarono a distruggerla. Volevano cambiare il mondo, impedirono solo ai figli dei proletari di diventare classe dirigente. Mi sposai con una collega di lavoro e insieme abbiamo avuto tre figli. Sono stato democristiano, ho conosciuto molti dc e molto ho imparato dai migliori di loro. Ho servito la mia città come amministratore per qualche lustro. Ora sono pensionato.
La fine dell'Italia repubblicana
mercoledì 3 agosto 2011
Bollettino medico
lunedì 20 giugno 2011
Il popolo di Pontida
sabato 18 giugno 2011
L'han giurato li ho visti in Pontida...
giovedì 16 giugno 2011
Chiesa e arte moderna
CULTO DELL'AVANGUARDIA E CULTURA DI MORTE di Jean Clair, Parigi, Cortile dei Gentili, 25 marzo 2011[...]
Ci sono nella storia della Chiesa episodi singolari come, nel XII e XIII secolo, la stupefacente moda dei Goliardi, chierici itineranti che scrivevano poesie erotiche e canzoni da taverna parecchio oscene, e che si dedicavano a fare parodie burlesche di messe e sacramenti della Chiesa. Ma i goliardi agivano così per criticare una Chiesa di cui denunciavano gli errori. Nulla di tutto ciò, oggi, negli artisti d’avanguardia, che non hanno rapporti con la Chiesa, e neanche voglia di burlarsene. Il movimento dei goliardi era legato a un’epoca di grande religiosità e di grande misticismo, non a una manifestazione di indifferenza. Potrebbero essere solo le singolari deviazioni di qualche bello spirito, se la proliferazione di queste incursioni estetiche nelle chiese di Francia, e la comunanza della loro natura, esibizionista e spesso coprolalica, non inducesse a interrogarci sulla relazione che il cattolicesimo intrattiene oggi con la nozione di Bellezza.Mi limiterò a pochi esempi: - In una piccola chiesa della Vandea nel 2001, accanto alla cassa di un santo guaritore per il quale si viene da lontano in pellegrinaggio, si installa un’altra cassa colma di antibiotici. - Più recentemente, nel battistero di una grande chiesa a Parigi si installa un’immensa macchina che fa colare liquido plastificante, lo sperma di Dio, su enormi certificati di battesimo, venduti sul posto a 1500 euro l’uno. - A Gap, il vescovo presenta un’opera di un artista d’avanguardia, Peter Fryer, che rappresenta Cristo nudo con le braccia distese, legato su una sedia elettrica, come una Deposizione dalla Croce. - Nel 2009, in una piccola chiesa di Finistère, una spogliarellista, Corinne Duval, nell’ambito di un happening di danza contemporanea, sovvenzionata dal ministero della cultura, termina danzando nuda sull’altare. [...] Quel che vedo rinascere e svilupparsi in questi culti libertini così simili a quelli che praticano certe sette gnostiche del secondo secolo mi sembra effettivamente una nuova gnosi, secondo la quale la creatura è innocente, il mondo è malvagio e il cosmo imperfetto. Non sono un teologo, ma come storico delle forme sono colpito, in queste opere culturali dette “d’avanguardia” che oggi pretendono di far entrare nelle chiese la gioia della sofferenza e del male – mentre un tempo il culto tradizionale le combatteva con la sua liturgia –, dalla presenza ossessiva degli umori del corpo, privilegiando lo sperma, il sangue, il sudore, o il marciume, il pus nella frequente evocazione dell’aids. Naturalmente anche l’urina che – a proposito del "Piss Christ" dell’artista Andres Serrano, “imprescindibile star del mondo dell’arte e del mercato” secondo M. Brownstone – viene proclamata “portatrice di luce” in un’omelia del sacerdote, Robert Pousseur, allora incaricato di iniziare il clero francese ai misteri dell’arte contemporanea. [...]La Chiesa si è lasciata affascinare dalle avanguardie fino al punto di presumere che l’immondo e gli abomini offerti alla vista dai suoi artisti siano le migliori porte d’accesso alla verità del Vangelo. Nel frattempo sono state segnate diverse tappe che non oso definire come una deriva. Negli anni '70, la Chiesa non voleva conoscere dell’arte contemporanea altro che l’astrazione. Dopo le vetrate di Bazaine a Saint Séverin ci furono le vetrate di Jean Pierre Reynaud all’Abbazia di Noirlac, poi quelle commissionate a Morellet e a Viallat per Nevers, e di Soulages per l’abbazia di Conques, Il volto non esisteva più, il corpo non esisteva più, il crocifisso stesso fu allora sostituito da due pezzi di legno o di ferro saldati. Le lotte sanguinose dell’iconoclasmo sembravano non essere mai accadute. L’iconoclastia ormai era un fatto normale. [...]Quante sono, nei musei di Stato, le opere che riguardano l’iconografia cattolica? 60 per cento? 70 per cento? Dalle crocifissioni alle deposizioni nel sepolcro, dalle circoncisioni ai martiri, dalle natività ai San Francesco d’Assisi… Contrariamente agli ortodossi che si inginocchiano e pregano davanti alle icone, anche quando esse si trovano ancora nei musei, è raro, nella Grande Galleria del Louvre, vedere un fedele fermarsi e pregare davanti a un Cristo in croce o davanti a una Madonna. Bisogna rimpiangerlo? A volte lo penso. La Chiesa dovrebbe domandare la restituzione dei suoi beni? Mi capita di pensare anche questo. Ma la Chiesa non ha più alcun potere, contrariamente ai Vanuatu o agli Indiani Haida della Colombia Britannica, che hanno ottenuto la restituzione degli strumenti della loro fede, maschere e totem… La Chiesa si vergognerebbe di essere stata all’origine dei più prodigiosi tesori visivi che si siano mai avuti? Non potendo riaverli indietro, non potrebbe almeno prendere coscienza dell’obbligo che non li si può lasciare senza spiegazione davanti a milioni di visitatori dei musei? [...]La religione cattolica mi è apparsa per molto tempo come la più rispettosa del senso, la più attenta alle forme e ai profumi del mondo. È in essa che si incontra anche la più profonda e la più avvincente e sorprendente tenerezza. Il cattolicesimo mi sembra innanzitutto una religione non del distacco, né della conquista, né di un Dio geloso, ma una religione della tenerezza.Non ne conosco altra che per esempio abbia a tal punto esaltato la maternità. [...] Quale religione ha dipinto tante volte, da Giotto a Maurice Denis, il bambino in tutte le posizioni dell’infanzia, gesti, sguardi, passioni di bambino, con le sue golosità e curiosità, quando è in piedi sulle ginocchia della madre? Come la Chiesa attuale ha potuto voltare le spalle a una tale ricchezza? [...]Nell’opera d’arte nata dal cristianesimo c’è anche altro, rispetto alla felicità visiva e alla pietà. C’è anche un approccio euristico del mondo. [...] L’artista è al servizio di Dio, non degli uomini, e se dipinge la creazione, conosce le meraviglie del creato, custodisce nel suo spirito il fatto che queste creature non sono Dio, ma la testimonianza della bontà di Dio, e che sono lode e canto di allegrezza. Mi domando dove questa allegria si possa ancora sentire, quella che si sentiva in Bach o in Haendel, in queste manifestazioni culturali, così povere e così offensive per l’orecchio e per l’occhio, alle quali ormai le chiese aprono il loro culto. Qui senza dubbio è stata e rimane oggi la grandezza della Chiesa: essa è nata dalla contemplazione e dall’adorazione di un bambino che nasce, e si fortifica con la visione di un uomo che risuscita. Tra questi due momenti, la Natività e la Pasqua, non ha smesso di lottare contro la “cultura della morte”, come dice così giustamente. Questo coraggio, questa ostinazione rendono ancor più incomprensibile la sua tentazione di difendere opere che, ai miei occhi, alle “porte della mia carne”, sanno soltanto di morte e di disperazione. Un Dio senza la presenza del Bello è più incomprensibile di un Bello senza la presenza di un Dio.(Traduzione di Flora Crescini ed Enrica Zaira Merlo, a cura del Centro Culturale di Milano). __________
lunedì 23 maggio 2011
Il cardinale Bagnasco ha detto la sua, io la mia
venerdì 29 aprile 2011
Per chi non avesse partecipato alla manifestazione del 25 aprile in Piazza Loggia, può leggere qui il testo dell'orazione pronunciata dall'oratore ufficiale.
LO “SPIRITO DEL 25 APRILE”
BARTOLOMEO SORGE
Siamo qui riuniti, nel cuore storico della Città, per fare memoria del 66° anniversario della liberazione. Confesso che, quando ricevetti l’invito a essere con voi, la prima reazione fu di perplessità: che ci fa un prete in Piazza della Loggia a parlare del 25 aprile? Alcuni pensieri mi fecero superare l’esitazione. Anzitutto il desiderio di rendere onore con la mia presenza ai 191 eroici sacerdoti trucidati dai nazifascisti durante la Resistenza; in secondo luogo, il ricordo di un’altra piazza al quartiere Brancaccio di Palermo, dove fui invitato a fare memoria di don Pino Puglisi, un santo sacerdote che con il Vangelo in mano incitava i giovani a un’altra Resistenza, contro la mafia, da cui fu assassinato; infine - ed è la ragione principale -, la necessità di ravvivare la lezione che viene dai martiri della libertà, da tutti indistintamente (credenti e non credenti, laici e sacerdoti) in questo momento difficile della vita del Paese. La lezione è questa: quando, pur essendo diversi, si è uniti sui valori fondanti e su un ideale comune, quando il coraggio del cittadino s’incontra con la profezia del credente, anche i sogni impossibili diventano possibili.
La conferma viene dalla storia. Quest’anno la memoria della Resistenza cade nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Questa coincidenza serve a farci comprendere meglio la lezione del 25 aprile, cioè la necessità che tutti i cittadini onesti, al di là delle differenti idee politiche, sensibilità culturali e religiose, si uniscano insieme per aiutare l’Italia a uscire dalla crisi nella quale oggi è impantanata.
Fu questo spirito unitario – lo “spirito del 25 aprile” – a liberare l’Italia dal nazifascismo. Lo stesso che rese possibile il sogno risorgimentale dell’Unità d’Italia e la vittoria della prima guerra mondiale. Lo stesso che portò alla Costituzione repubblicana e difese la nostra giovane democrazia dall’attacco eversivo delle BR con la vita e il sangue di tanti servitori dello Stato, primi fra tutti le forze dell’ordine e i magistrati, ai quali va il plauso riconoscente di tutti gli italiani.
Riprendiamo, dunque, la lezione di questo 25 aprile, per realizzare il nuovo Risorgimento e la nuova Liberazione di cui il Paese ha bisogno. Si tratta in pratica di convogliare le energie migliori nel triplice impegno di difendere la Costituzione, l’Unità nazionale e la democrazia.
1. Difendere la Costituzione
Il primo impegno deve essere quello di difendere la Costituzione con i suoi principi e i suoi valori, che costituiscono il patrimonio culturale e spirituale del nostro popolo. Si tratta di principi e di valori che non dipendono, e quindi non possono essere cambiati, da maggioranze provvisorie e mutevoli di governo, perché sono iscritti nella coscienza di ciascuno di noi, prima ancora che nella Carta repubblicana. Lo ricorda l’art. 2 Cost., quando afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce [quindi trova, non crea] i diritti inviolabili dell’uomo”.
Ora, l’architrave della Costituzione è il primato della persona umana. La persona viene prima della società, così come la società viene prima dello Stato. Tutti gli altri valori fanno riferimento al rispetto della dignità della persona, a cominciare dal diritto al lavoro che lo Stato ha il dovere di rendere effettivo (art. 4) poiché l’Italia è “una repubblica fondata sul lavoro”, come dice l’articolo 1. L’articolo 1 non si tocca! Finché reggerà l’art.1, non sarà lecito a nessuno parlare di lavoratori “in esubero” e di “precari” a tempo indeterminato. Può mai una persona essere ritenuta “superflua” o condannata a vivere nell’insicurezza? Finché reggerà l’art. 1, sarà un obbligo grave per tutti cercar di spezzare la tragica catena di “morti bianche” sul lavoro, che – come dimostrano anche drammi recenti – sono causate spesso da irresponsabilità e da noncuranza delle norme di prevenzione.
L’altro pilastro portante su cui poggia la Costituzione è il “principio di solidarietà”. Cioè, ogni persona è un essere-in-relazione, che per realizzarsi ha bisogno degli altri, di una società, in cui non esistano cittadini di serie A e cittadini di serie B, ma tutti indistintamente godano di “pari dignità sociale” e siano “uguali davanti alla legge” (art. 3 Cost.). Come è possibile allora che l’individualismo e l’egoismo dilaghino fino a contaminare di razzismo e di xenofobia le leggi dello Stato? Com’è possibile che coscienza civile e coscienza religiosa non reagiscano con forza di fronte al respingimento in mare dei disperati che fuggono dalla guerra e dalla fame o di fronte alla proposta assurda di usare perfino le armi per fermarli? Com’è possibile rinnegare in forma così plateale il diritto d’asilo che l’art. 10 Cost. riconosce allo straniero “al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche”?
E’ tempo, dunque, di svegliarsi e di ricuperare lo “spirito del 25 aprile”. Urge che coscienza civica e coscienza religiosa tornino a incontrarsi come ai giorni della Resistenza. “Perché – si chiede anche la Chiesa per bocca del card. Tettamanzi – ci sono uomini che fanno la guerra, ma non vogliono che si definiscano come ‘guerra’ le loro decisioni, le scelte e le azioni violente? Perché molti agiscono con ingiustizia, e non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni? E ancora: perché tanti vivono arricchendosi sulle spalle dei Paesi poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?” (Omelia di Domenica delle Palme, 17 aprile 2011).
Difendere la Costituzione, dunque, è il primo impegno concreto al quale oggi ci richiama lo “spirito del 25 aprile”.
2. Difendere l’unità nazionale
Il secondo impegno deve essere la difesa dell’unità nazionale: l’Italia è “una e indivisibile” politicamente, perché una e indivisibile è la sua identità culturale e linguistica, la sua coscienza morale e religiosa. A differenza di altre nazioni, l’unità d’Italia si fonda non sull’appartenenza etnica, ma sulla cultura e sui valori morali, contenuti nei primi 11 articoli della Costituzione. E’ notevole che i Padri costituenti volessero che l’art. 12 Cost., dedicato alla bandiera tricolore, fosse aggiunto agli altri 11 dedicati ai principi e ai valori fondanti della nostra convivenza civile; ecco perché, per difenderli, i martiri della Resistenza sono morti stringendo la bandiera. Perciò, chi disprezza il tricolore disprezza l’Italia, disprezza i valori morali della Costituzione, offende la memoria dei martiri della Libertà!
Detto questo, è doveroso riconoscere che il pluralismo delle esperienze locali, delle attività dei comuni, delle regioni e delle città, così come la dialettica tra realtà locali e dimensione nazionale, fanno parte della nostra identità e della nostra storia: non sono un impedimento all’unità, ma una ricchezza per tutti. Ciò spiega perché l’ideale risorgimentale dell’unità d’Italia abbia trovato pieno compimento nello “spirito del 25 aprile”. Fu lo stesso spirito unitario che, con la Liberazione dal nazifascismo, diede vita all’Italia democratica “una e indivisibile”, sì, ma che “riconosce e promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo” (art. 5 Cost.)
Più vicino a noi, difendere l’unità nazionale significa dare un’anima solidale al discorso che oggi in Italia si fa sul federalismo. La riforma in senso federale delle istituzioni repubblicane non può ridursi soltanto a una questione di natura organizzativa, ma dovrà ispirarsi alla cultura solidale che informa la nostra Costituzione. Senza solidarietà, il federalismo finirebbe con il porre le premesse della frammentazione e della rottura dell’unità del Paese. In particolare, non farebbe che accrescere ulteriormente il divario tra Nord e Sud, quando ormai tutti siamo consapevoli che sviluppo del Mezzogiorno e unità d’Italia vanno insieme.
Com’è possibile pretendere che si restauri la legalità nel Mezzogiorno, quando l’illegalità dilaga nel resto d’Italia? Con che coraggio si chiede ai cittadini meridionali che diano prova di senso civico, quando la politica nazionale è gestita in forma privatistica e aziendale, al servizio di interessi personali o di gruppo, nell’aperta noncuranza del dettato costituzionale? Come pretendere che a livello locale si osservino regole e leggi, quando a livello nazionale si emanano normative discriminatorie, razziste, spesso in contrasto con le regole costituzionali e con i principi delle carte internazionali dei diritti umani?
Pertanto, anche la cosiddetta “questione settentrionale”, di cui oggi tanto si parla, non è – in certo senso – che l’altra faccia della “questione meridionale”, la quale dunque rimane il vero nodo da sciogliere per realizzare pienamente l’ideale unitario del Risorgimento e della Liberazione, tuttora incompiuto.
3. Difendere la democrazia
Infine il terzo impegno, a cui ci richiama la memoria congiunta del 150° dell’Unità d’Italia e del 25 aprile, è la difesa della democrazia. Il Paese, infatti, attraversa una fase di pericolosa emergenza democratica. Ci siamo ridotti a vivere alla giornata, a navigare a vista: la preoccupazione del presente prevale sulla progettazione del futuro; la ricerca di interessi personali o corporativi prevale sul bene comune. E in atto uno scontro senza precedenti dei poteri dello Stato tra di loro: tra Governo e magistratura, tra presidenza del Consiglio e presidenza della Camera, tra potere legislativo e Corte costituzionale; si legifera a colpi di decreti legge e di voti di fiducia, esautorando il Parlamento e riducendolo al ruolo di notaio di decisioni prese al di fuori di esso; la classe politica è scelta dall’alto, avendo tolto ai cittadini la libertà di “eleggere” i propri rappresentanti. E’ forse questa la democrazia per la quale hanno dato la vita i martiri della Resistenza?
La delusione, perciò, si traduce in sfiducia crescente verso la politica e la classe dirigente e in assenteismo: oltre 10 milioni di cittadini – uno su quattro – non hanno votato alle ultime elezioni politiche del 2008, e in tutte le consultazioni popolari successive l’assenteismo ha superato il 40%.
Ecco perché non c’è più tempo da perdere, ma urge ravvivare lo “spirito del 25 aprile”. E’ tempo di una sintesi nuova tra le diverse tradizioni di cultura politica che hanno fatto la Resistenza, senza che nessuno rinneghi la propria storia e le proprie radici. Si tratta di “andare oltre”, ricostituendo un ethos condiviso, nella fedeltà alla Costituzione, in grado di restituire un’anima etica alla politica. Solo ricuperando il primato della persona, la solidarietà e la priorità del bene comune, sarà possibile pervenire finalmente a quella forma matura di democrazia, fondata sull’esercizio libero e responsabile dei propri diritti e dei propri doveri, per la quale sono caduti patrioti e partigiani.
Riusciremo nell’arduo compito di dare vita a un nuovo Risorgimento e a una nuova Liberazione? Sì, ci riusciremo: con il coraggio dei cittadini onesti e con l’aiuto di Dio. Siamo ancora avvolti dalla luce di Pasqua. La risurrezione di Cristo, ci dà la fiducia necessaria per credere in una risurrezione dell’Italia dallo stato di degrado in cui è caduta. La potenza delle Risurrezione è all’opera nella storia. Perciò, mentre ravviviamo in noi lo “spirito del 25 aprile”, poniamo la fiducia in Colui che ha promesso: “Sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi”. Maranathà. Vieni Signore Gesù.
venerdì 18 marzo 2011
Ricordo di mia madre
La madre
E il cuore quando d'un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d'ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m'avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d'avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.
martedì 15 marzo 2011
Ricordando un grande italiano
L'anti-Italia
lunedì 28 febbraio 2011
La doppia morale
"Come previsto, Berlusconi salda puntualmente il debito contratto con la gerarchia cattolica in cambio della benevola tolleranza di questa, attenuata solo da qualche critica molto sfumata e generica, nei confronti suoi e del suo governo per le costanti violazioni della morale pubblica e privata. Chi, nell'opposizione e nell'opinione pubblica, riteneva che i comportamenti di Berlusconi avrebbero provocato un indebolimento del sostegno offertogli dalla gerarchia, deve ancora una volta ricredersi. I due attori in gioco - Berlusconi e gerarchia cattolica - sono del tutto simili per grado di cinismo politico.
... a livello di giudizio politico, è ora che si dica chiaramente che il degrado etico e civile in cui ci troviamo non è solo responsabilità di Berlusconi, della sua maggioranza, delle sue televisioni. E' responsabilità anche della doppia morale cinicamente esercitata dalla gerarchia cattolica ogni volta che sono in gioco i suoi interessi come istituzione di potere. Più grave ancora del fatto che di volta in volta pretenda che si legiferi in accordo ai suoi principi fatti valere come validi per tutti, è il fatto che taccia, e spesso si compiaccia perfino, quando la religione cattolica e i suoi simboli sono usati politicamente come armi improprie per posizionarsi, per affermare identità, escludere qualcuno. Questo doppio cinismo ( di chi ci governa e della gerarchia che lo legittima) e la doppia morale che ne deriva non hanno solo effetti nefasti sulla nostra libertà di cittadini. Stanno anche corrodendo la coscienza civile."
Parole che suonano molte dure alle orecchie di un cattolico, eppure ce ne sono molti che le condividono ed io sono fra questi.
domenica 27 febbraio 2011
Anche noi abbiamo un sogno (contro il cinismo che opprime la coscienza di molti cattolici)
Lettera di un gruppo di giovani laici di Padova sottoscritta da molti altri. | |
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| Home Un giorno chi guida la Chiesa in Italia riuscirà a denunciare i comportamenti inaccettabili con chiarezza e determinazione, perché avrà come unico interesse l’annuncio della Buona Notizia.
Se vuoi saperne di più e per sottoscrivere la dichiarazione vai al sito: www.antonianum.info
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