Oggi a Roma c'è stata una manifestazione di protesta dei tre sindacati confederali, guidata dai loro segretari nazionali, davanti a Palazzo Chigi. La manifestazione serviva a protestare contro la legge di Stabilità che non ha accolto le loro proposte. Vale a dire: meno tasse per i lavoratori e per i pensionati. Una ricetta semplice e di sicuro gradimento. Così si sono lamentati di non essere stati ricevuti da nessun ministro del governo. Soprattutto se la prendono con il ministro Saccomanni, a detta loro, il peggiore di tutti. Il ministro del tesoro è quello che tiene i cordoni della borsa, la quale purtroppo è vuota. Nella stessa giornata, come nei giorni scorsi è continuata anche la protesta dei forconi, anch'essi si lamentano per le tasse. Così che, con tutto il disordine e tutto il disagio provocato dalle manifestazioni dei forconi in tutta Italia, i quali hanno occupato le piazze d'Italia con numerose e talvolta violente adesioni di persone di ogni tipo e di ogni risma, (resta ferma la mia convinzione che questo movimento è politicamente di destra, eversivo e con attive frange fasciste) la misera protesta dei sindacati nella piazza davanti a palazzo Chigi, è sembrata essere un segno della scarsa considerazione che essi godono, sia presso il governo e soprattutto presso i lavoratori stessi.
I tre leader: Camusso, Bonanni e Angeletti, avranno sicuramente esposto le loro critiche e le loro ricette economiche, se non risolutive, certamente degne di attenzione, tuttavia se ne sono guardati bene dal fare qualche esame di coscienza, dal fare qualche autocritica sui loro comportamenti negli anni appena trascorsi. Sembra che non si rendano conto di non rappresentare più la totalità dei lavoratori. Stando a quel poco che si conosce dei loro iscritti, se si escludono i pensionati, che sono più della metà in ciascuno dei tre sindacati, e se si escludono i pubblici dipendenti, i quali hanno comunque sempre il posto garantito, il resto dei lavoratori iscritti saranno forse tre o quattro milioni. Insomma tutti gli altri: i non sindacalizzati, gli autonomi, i precari, i lavoratori in nero ecc. che sono la grande maggioranza di quel che ancora c'è del mondo del lavoro, sono altrove. Inoltre non pare nemmeno che i tre siano sfiorati dal sospetto che anche nel sindacato, sia ai vertici che nei ranghi della sua inossidabile burocrazia, ci sia bisogno di qualche rinnovamento e di aria nuova, soprattutto di un profondo ripensamento anche culturale e politico del ruolo del sindacato nella società italiana di oggi.
Lo statuto dei lavoratori votato dal Parlamento nel 1970, alla fine di una lunga stagione di lotte, ha rappresentato un punto di maturazione e di conquiste sindacali sicuramente di grande portata. Le condizioni politiche e sindacali che hanno consentito quel successo, oggi non ci sono più. Allora il lavoro dipendente era la quasi totalità del mondo del lavoro. Le lotte dei lavoratori trainate dalle tre organizzazioni erano supportate anche politicamente in Parlamento, sia dall'opposizione rappresentata dal PCI, che dai partiti di governo, la DC e il PSI. Infatti lo Statuto porta la firma di un ministro socialista. Da allora tuttavia la società italiana, il mondo del lavoro in particolare, si è enormemente trasformata. Oggi la rappresentanza sindacale e la rappresentanza politica si è frantumata in molte organizzazioni, con caratteristiche le più diverse: corporative, geografiche, clientelari, di destra e di sinistra, spontaneiste e qualunquiste, europeiste e antieuropee, i partiti tradizionali sono scomparsi, i nuovi stentano ad imporsi, tanto che gli italiani che non votano sono sempre più numerosi.
Stando così le cose anche le tre confederazioni sindacali non potevano non entrare in crisi. Prima l'affrontano la loro crisi meglio sarà anche per i lavoratori che ancora credono nel sindacato.